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Addio Professor Eco! Un ricordo sentito nell’incisivo ritratto di Roberto Grandi

Ho incontrato Umberto Eco più di quarant’anni fa, quando iniziò la sua e la nostra avventura al Dams e, successivamente, a Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna.
In questi anni è diventato quell’umanista enciclopedico in grado di scrivere trattati importanti e romanzi di successo che tutto il mondo ci invidia e che tutto il mondo ha pianto e commemorato.
Umberto Eco ha anche frequentato da protagonista il mondo dell’informazione sia come giornalista descrivendo con puntualità e ironia la cronaca e la storia dei nostri anni, sia come studioso dell’evoluzione del sistema dei media di massa.
L’approccio che Eco ha utilizzato è stato quello delineato fin dalla metà degli anni ‘60

in Apocalittici e Integrati: ad uno sguardo ideologico sull’evoluzione dell’industria culturale che la condanna o assolve irrimediabilmente, ha preferito un punto di vista che ne individua la complessità e contraddittorietà e che lascia a ciascun operatore culturale la possibilità di fare la propria scelta.
La necessità di conoscere i meccanismi di funzionamento della macchina dell’informazione per poterla utilizzare in maniera responsabile era presente già negli anni ‘60 quando sosteneva che per cambiare l’informazione non era sufficiente cambiare chi la dirigeva, ma si dovevano modificare i meccanismi di selezione delle notizie, le routine produttive e il rapporto con i lettori o telespettatori.
Questa attenzione responsabilmente interessata al ruolo dell’informazione è passata dalle pagine dei saggi e degli articoli a quelle del suo ultimo romanzo, Numero Zero, che a una prima lettura si presenta come descrizione cruda e inappellabile di un giornalismo che è macchina del fango e di ricatto dove le notizie non è necessario cercarle “basta riciclarle”, dove “i giornali non sono fatti per diffondere ma per coprire le notizie”, anche attraverso una confezione degli articoli in cui l’uso del virgolettato e la costruzione delle frasi sono portati avanti per ingannare il lettore.
La seconda lettura, su questo romanzo attorno all’attività della redazione del quotidiano Domani e del libro Domani: ieri, che non verranno mai pubblicati, la fornisce Eco stesso quando in un colloquio con Saviano su Repubblica dice: “Non ho voluto scrivere un trattato sul giornalismo; ho insistito su una particolare redazione, che fa parte della macchina del fango. Però da oltre quarant’anni continuo a riflettere e discutere sui limiti e sulle possibilità del giornalismo… Quindi la mia è una storia sui limiti dell’informazione giornalistica. Ma non ho parlato dei giornalisti in genere. Ho disegnato il peggiore dei casi, per dare un’immagine grottesca di quel mondo”.
Credo che in queste frasi ci sia molto dell’Eco a cui, come tanti, sono molto affezionato: il grottesco è una deformazione della realtà non irrealistica ma plausibile e la possibilità che il modo di operare della redazione del Domani non divenga quello della nostra informazione spetta a ciascuno di noi, a chiunque operi in questo settore così importante per la crescita civile del nostro Paese.

Roberto Grandi
Professore Ordinario di Comunicazioni di Massa all’Università di Bologna

(23 febbraio 2016)