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Il collega Lorenzo Bianchi respinto dalla Turchia per “motivi di pubblica sicurezza”. Giovanni Rossi: “una vicenda inaccettabile che conferma il carattere autoritario del regime di Erdogan”

Ingresso negato per “motivi di pubblica sicurezza”. Così le autorità turche hanno motivato la ragione per la quale al collega Lorenzo Bianchi, inviato per molti anni de il Resto del Carlino, già consigliere nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, attualmente revisore dei conti dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, è stato negato l’ingresso in territorio turco. Bianchi è stato trattenuto per poco meno di due ore all’aeroporto internazionale di Istanbul e reimbarcato su un aereo che lo ha riportato a Bologna. Il fatto è accaduto giovedì 21 giugno.

È lo stesso Bianchi a comunicarlo precisando di essere stato “foto segnalato” dopo che gli erano state rilevate le impronte digitali di tutte le dieci dita delle mani. “Ero diretto a Diyarbakir, la città più popolosa del Kurdistan turco per partecipare ad una osservazione elettorale su invito dell’Hdp (il partito “filo-curdo” il cui segretario ed un certo numero di parlamentari sono in carcere dopo che è stata loro revocata l’immunità – ndr)”. Bianchi precisa di non avere citato tale circostanza al servizio di intelligence turco MIT in cui agenti hanno registrato i numeri telefonici rintracciati sul suo smartphone. Il passaporto gli è stato sequestrato dagli agenti turchi che lo hanno consegnato al personale dell’aereo e gli è stato restituito dalla polizia italiana al suo arrivo nel capoluogo emiliano-romagnolo.
Contemporaneamente alla vicenda che ha interessato il nostro collega, analogo trattamento è stato riservato a due parlamentari europei, uno svedese e l’altro tedesco, che si recavano in Turchia per verificare la regolarità del voto referendario indetto da Erdogan per trasformare il proprio Paese in una Repubblica presidenziale.
Nell’esprimere solidarietà al collega Lorenzo Bianchi, il Presidente del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti, Giovanni Rossi, ha definito la vicenda “inaccettabile” e che “conferma il carattere autoritario del regime di Erdogan, il quale ha fatto della Turchia un gigantesco carcere per i giornalisti e per un numero elevatissimo di oppositori”.
(23 giugno 2018)