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Legalità = corresponsabilità. Per don Luigi Ciotti nessuno può tirarsi indietro

“La lotta alle mafie non si può delegare solo alle forze dell’ordine e ai magistrati”. Lo hanno sottolineato don Luigi Ciotti e il giudice antimafia Antonino Di Matteo durante la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria al magistrato palermitano, che si è svolta il 2 marzo a Modena (uno dei “100 passi” che precedono la Giornata in memoria di tutte le vittime di mafia, organizzata da Libera il 21 marzo a Bologna).
Un’occasione importante per la città emiliana. Un “passo” in più nel lungo e difficile cammino verso la legalità, lo spirito di verità, la libertà. Un segnale di speranza in un momento in cui la criminalità organizzata al Nord “entra dalla finestra, spesso senza armi e senza bombe”.

Lo ha dimostrato l’inchiesta “Aemilia” della Dda di Bologna sulla ‘ndrangheta nella nostra regione. Lo ribadisce da tanti anni un “prete scomodo” come don Ciotti, promotore del Gruppo Abele (che dagli anni ’60 sostiene fragilità, dipendenze, disagio sociale) e storico fondatore dell’associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia.
Quando viene ordinato sacerdote (nel 1972) come parrocchia riceve la strada: “luogo non di insegnamento ma di apprendimento e incontro con le domande e i bisogni più profondi della gente”. Nel corso del tempo si convince che solo il “noi” può essere protagonista di un vero cambiamento sociale. E negli anni ’90 il suo impegno si allarga al contrasto della criminalità organizzata. Dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, nel 1992 fonda il mensile Narcomafie e nel 1995 Libera, che oggi è punto di riferimento per più di 1.600 realtà nazionali e internazionali.
Per don Luigi Ciotti “l’impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi”.
Il sacerdote prosegue incessantemente, senza esitazioni, senza timori nella lotta per la legalità. Perché “le mafie sanno fiutare il pericolo, sentono che l’insidia, oltre che dalle forze di polizia e dalla magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze”. Perché “il vero problema non sono solo i poteri illegali, ma anche i poteri legali che si muovono illegalmente e che sono una marea nel nostro paese”.
Dunque, la lotta alla criminalità organizzata si può fare solo se le istituzioni sono unite, se la politica aiuta la magistratura, se tutti sono corresponsabili.

L’impegno nel sociale, la sensibilità per le problematiche mediatiche e la libertà di espressione da sempre contraddistinguono don Luigi Ciotti. È importante ascoltare la sua voce. Ecco un estratto dell’intervista Cultura, libertà, spirito di verità sono gli ingredienti di ogni democrazia (pubblicata sul n.78 del nostro trimestrale cartaceo Giornalisti).


“Cultura e mafia sono incompatibili: le mafie ingrassano con l’indifferenza, l’egoismo e la disinformazione”. Come commenta queste sue parole?

«La lotta alle mafie non può essere separata dalla questione dell’etica pubblica. Le mafie sono forti anche grazie ai loro agganci nel mondo politico ed economico. La magistratura deve poter indagare, l’informazione poter informare, i cittadini essere messi nella condizione di conoscere e di decidere».

Spesso parla di cultura, libertà e spirito di verità …

«La cultura, la libertà e lo spirito di verità sono, insieme alla corresponsabilità, gli ingredienti di ogni democrazia. Una democrazia vive solo attraverso l’impegno di tutti. Ma per impegnarsi è necessario conoscere. Non parlo certo del sapere superficiale, pilotato, che mira a renderci un pubblico compiacente e manipolabile, ma un sapere libero, che nasce dal pluralismo, dalla quantità e soprattutto dalla qualità dell’informazione, dal rifiuto delle semplificazioni, dall’analisi onesta e approfondita delle cose».

Da sempre intreccia la missione religiosa con l’impegno sociale: la sua parrocchia è la strada con i tanti volti del disagio. Cosa può dire in proposito?

«La marginalità e la fragilità delle persone sono anche figlie del vuoto dei diritti. Una democrazia che non ha paura di cercare la verità è anche una democrazia attenta a non escludere nessuno, impegnata affinché tutti vivano i diritti e i doveri dell’essere cittadini. Una democrazia senza uguaglianza – o quantomeno senza tensione a ridurre le disuguaglianze – non si può definire democrazia. Per questo l’impegno sociale è determinante. L’accoglienza, che è la nostra anima, deve saldarsi allo sforzo per cambiare le cause dell’ingiustizia sociale. Se manca questa tensione, questa prospettiva, rischiamo di fermarci a una solidarietà che non cambia le cose, funzionale a chi le cose non le vuole cambiare. Dobbiamo essere invece una spina nel fianco, critica ma anche propositiva. L’impegno sociale è intrinsecamente politico, se ridiamo alla parola “politica” il suo più alto e autentico significato: quello di servizio alla comunità».


Come pensa dovrebbero agire i giornalisti per conservare la dignità professionale in questa società complessa e “demoralizzata”?

«Seguendo l’esempio di chi, nel mondo dell’informazione, fa il proprio lavoro con passione e responsabilità. Nella consapevolezza che quella del giornalista, come ogni professione, non è soltanto una “prestazione”: è un mezzo per esprimere se stessi, la propria libertà e dignità. Ci sono tanti giornalisti che questa fedeltà a se stessi l’hanno coltivata anche a duro prezzo: con l’emarginazione, con la diffamazione, a volte con la vita. Come in ogni lotta per la verità, l’essenziale è non trovarsi da soli. L’informazione deve ricercare la verità ed essere al servizio del bene comune. Deve approfondire, costruire inchieste rigorose e documentate, capaci di smascherare i lati oscuri e contraddittori, ma anche di far emergere quel positivo che troppo spesso non fa notizia. Ma soprattutto deve essere indipendente: analizzare i meccanismi del potere senza farne parte. Un giornalismo che va a braccetto con i potenti di turno, che diventa cassa di risonanza dei loro interessi, che fa scoop sulla pelle della gente, ha abdicato ai suoi principi etici e professionali».

Franca Silvestri

(5 marzo 2015)