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Processo Aemilia, tutto regolare: la Consulta dà ragione al Presidente Caruso. Legittimo proseguire il processo durante lo sciopero degli avvocati. Il consigliere dell’Odg Mario Paolo Guidetti sottolinea l’impegno dei giornalisti

Secondo la Corte Costituzionale era legittimo proseguire il processo anche durante lo sciopero degli avvocati. Non si torna indietro al processo Aemilia. Il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati non può interferire con la disciplina della libertà personale dell’imputato. È la motivazione con cui la Corte Costituzionale ha dato in sostanza ragione a Francesco Maria Caruso, Presidente del Collegio dei giudici del maxi processo Aemilia contro la ‘ndrangheta di Reggio Emilia, in ordine alla legittimità costituzionale delle due ordinanze emesse l’anno scorso e contestate dagli avvocati degli imputati.

Fatti e antefatti
Noi (al pari delle colleghe/i) che scriviamo attenendoci alla Carta dei doveri del giornalista, prendiamo atto della sentenza della Corte Costituzionale e confidiamo che più nulla e nessuno abbiano a rallentare le sentenze del processo Aemilia con centinaia di imputati e/o detenuti in attesa di giustizia.

In merito all’Osservatorio sull’informazione giudiziaria, il sottoscritto, reggiano, già consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti ed ora consigliere regionale, sta osservando gli osservatori e le fasi del “processo alla stampa” prima di quello alla ‘ndrangheta: durante il processo Aemilia, un collaboratore di giustizia riferiva che la ‘ndrangheta pensava “di uccidere un giornalista che dava fastidio agli affari illeciti della cosca emiliana”. Leggevamo: “L’informazione spesso diventa strumento dell’accusa per ottenere consensi e così inevitabilmente condizionare l’opinione pubblica e di conseguenza il giudicante”. Un avvocato difensore, riferendosi ai giornalisti, affermava: “Lo vediamo tutti i giorni, i giornali anche di questo processo scrivono cose non vere. L’ultima l’hanno scritta ieri l’altro”. Quali fossero queste cose non vere, e su quale testata, nessuno lo ha mai spiegato in udienza e neppure nell’esposto presentato all’Ordine dei giornalisti, esposto che l’Ordine ha respinto.
Tralasciando le “varie verità” sulla sceneggiata del coro dei detenuti in attesa di giudizio che da dietro le sbarre, segnando i tre giornalisti presenti, gridarono loro (secondo testimonianze e registrazioni sonore ed in video): “In galera!”. Non si può non ricordare quando nel gennaio 2017, un altro detenuto in attesa di giudizio si era fatto portavoce di una singolare richiesta al Tribunale: fuori la stampa e udienze a porte chiuse. In subordine proposta ancora più singolare: al mattino prima del dibattimento leggiamo gli articoli per valutare la correttezza di ciò che è stato riportato.
È seguito un batti e ribatti fra le Camere Penali ed i rappresentanti dei giornalisti (Ordine e Fnsi, aspetto col quale concluderemo il nostro intervento). Hanno affermato i primi: “Vengono passate dalle procure e dalla polizia giudiziaria atti e notizie dell’indagine in violazione del segreto istruttorio; il processo mediatico spesso inquina e travisa il processo vero, diventa uno spettacolo e come tale non informa correttamente; viene dato più risalto alla fase delle indagini che alla fase dibattimentale; l’informazione di garanzia viene equiparata ad una condanna; non si può negare che alcuni magistrati hanno costruito con i processi mediatici la loro carriera politica”. L’Ordine dei giornalisti e la Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) ritengono “grave e intollerabile l’affermazione che i media vengano strumentalizzati dall’ufficio del pubblico ministero e condizionino l’imparzialità dei giudici. Più che di Osservatori su chi racconta e su come vengono svelati fatti criminosi sottaciuti per anni in Emilia-Romagna, sarebbe forse opportuno dotarsi di strumenti per mettere immediatamente a fuoco, se non per prevenire, tali delitti”.
Sull’imparzialità dei giudici farebbero bene le Camere Penali, prima di lanciare ombre su possibili condizionamenti, a riascoltarsi la motivazione con la quale il collegio giudicante di Aemilia il 19 gennaio 2017 dichiarò inammissibile per carenza dei presupposti giuridici la richiesta di esclusione dei giornalisti dalle udienze. Il presidente Francesco Maria Caruso ricordò allora l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero e di stampa definendolo “pietra miliare” della nostra democrazia e si profuse in una difesa orgogliosa delle garanzie di imparzialità e correttezza offerte a tutti i protagonisti della vicenda giudiziaria dall’aula del Tribunale e dal contraddittorio tra accusa e difesa. “Se qualcuno adombra l’ipotesi che gli articoli di stampa possano condizionare i testimoni e addirittura i giudici – disse, in sostanza – sappia che quest’aula è in grado di valutare l’attendibilità dei primi e di garantire l’imparzialità dei secondi. Anche qualora i testimoni venissero influenzati o condizionati da elementi ben più efficaci e preoccupanti di un articolo di giornale”. Lasciando intendere che spesso sono la paura o le minacce di morte a mettere il bavaglio ai testimoni in un processo di mafia, come si è visto più volte pure in Aemilia.

Conclusioni
Riportiamo il documento congiunto di Federazione Nazionale della Stampa italiana, Associazione Stampa dell’Emilia-Romagna, Ordine nazionale dei giornalisti, Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna del 26 gennaio 2018.
“Dopo che la Camera Penale di Modena, il 17 gennaio scorso, ha dato notizia di avere costituito un Osservatorio sull’Informazione Giudiziaria formato da quattro avvocati, anche la Camera Penale di Reggio Emilia sta per varare il proprio Osservatorio locale sull’informazione giudiziaria, “e ciò – spiegano – non già per intimidire chicchessia, ma per monitorare i meccanismi della comunicazione anche su base locale e per misurarli alla luce dei principi costituzionali”.
Questa ulteriore iniziativa delle Camere Penali i cui avvocati sono coinvolti nel processo Aemilia non fa che accrescere la preoccupazione degli organismi di categoria rispetto a quelli che appaiono solo come tentativi di limitazione della libertà di stampa: la voglia di insegnare in casa d’altri è un male dei nostri tempi dal quale non pare immune chi si occupa del processo Aemilia. Nelle oltre 140 udienze del processo i giornalisti sono stati presenti e, non senza difficoltà, hanno raccontato il processo. Attraverso il loro lavoro, i cronisti hanno acceso i riflettori su dinamiche che hanno contribuito a far emergere in tutta la sua violenza l’enorme problema rappresentato dalla penetrazione della ‘ndrangheta sul territorio. Riteniamo che iniziative come queste, che fanno il paio con la richiesta di svolgere il procedimento a porte chiuse, siano atteggiamenti che puntano a limitare il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona”.
Mentre mafia, camorra, ‘ndrangheta e la delinquenza in generale impoveriscono materialmente e moralmente la società, nel nostro Pantheon troppi sono i giornalisti, i magistrati, i rappresentanti delle forze dell’Ordine, gli avvocati trucidati per il loro impegno e per il dovere della verità.
È certo che il processo Aemilia è stato uno schiaffo alla collettività reggiana ma nel contempo uno stimolo per le forze sane per affermare che “Il silenzio è morte”. I giornalisti mai staranno in silenzio. Parleranno e scriveranno nel rispetto, sempre, del codice deontologico. Resisteranno (e l’Ordine sarà al loro fianco), alle minacce e ad ogni subdolo tentativo di condizionamento. Lo faranno, anche se spesso sottopagati. Lo faranno per “il dovere della verità”. Lo faranno portando il massimo rispetto alla Magistratura, agli inquirenti, allo Stato.

Mario Paolo Guidetti

Consigliere Ordine dei giornalisti dell’Emilia- Romagna

(30 luglio 2018)