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13 marzo 1979: attentato alla sede bolognese del Sindacato stampa e tragica morte di Graziella Fava. 40 anni dopo la testimonianza critica di Claudio Santini

Il fumo che seguì l’incendio per terrorismo all’Assostampa di Bologna il 13 marzo 1979 non asfissiò solo la sventurata Graziella Fava, ma tolse il respiro al desiderio di verità, oscurò l’inchiesta sugli esecutori e sui mandanti di quell’assurdo e tragico “atto politico”. L’indagine giudiziaria infatti fu soffocata da altri drammatici eventi che percorsero la nostra vita nazionale e locale e si concluse con una sconcertante archiviazione “perché ignoti gli autori del reato”. Nessun colpevole, nessuna chiarezza, dunque, solo nebbia.

Un’ unica generica indicazione dalla sigla “Gatti Selvaggi” con la quale era stata firmata la criminale impresa.
La sigla eversiva compare per la prima volta a Bologna nel 1974, dopo l’uccisione del brigadiere dei carabinieri Andrea Lombardini nel dicembre di un anno molto difficile per i tormentati eventi che lo hanno percorso. Ricordate? Tutto comincia il 28 maggio con il referendum abrogativo della legge sul divorzio che porta alla storica vittoria del “no” frutto anche della spaccatura dell’unanimismo granitico dei cattolici di fronte alle indicazioni date dalla Chiesa e dalla Democrazia Cristiana. Poi il 27 di quello stesso mese la strage di Piazza della Loggia a Brescia durante un comizio sindacale. E il 4 agosto la carneficina a San Benedetto Val di Sambro con la bomba collocata sul treno Italicus diretto alla stazione di Bologna. Infine il 5 dicembre la raffica di mitra che falcia il servitore in divisa dello Stato durante un “esproprio proletario” ad Argelato, nella bassa pianura fra Ferrara e Bologna, dove sorge uno zuccherificio che è notevole polo industriale.
Quel giorno il brigadiere Andrea Lombardini, comandante della stazione di Castello d’Argile, è indotto ad uscire, nonostante la fitta nebbia, da due telefonate di cittadini che segnalano la strana presenza di un’auto parcheggiata davanti al cimitero, nonostante la chiusura del cancello di visita al terreno consacrato, e l’altrettanto insolito transito di un furgone che percorre la strada verso lo zuccherificio in un momento in cui non c’è nulla da consegnare o da ritirare. Il capo della stazione decide di fare una verifica ispettiva e parte con la macchina di servizio assieme al collega Gennaro Sciarretta. Vanno in zona camposanto e vedono l’auto abbandonata: strano. Si spingono allora fino allo zuccherificio e lungo la strada, poco prima dello stabilimento, incontrano il camioncino segnalato al quale impongono l’alt. Lombardini scende a terra, si avvicina alla cabina di guida per chiedere i documenti al conducente, ma arrivato, da retro, alla metà della parte posteriore del veicolo è investito da una raffica di mitra che lo uccide. Sciarretta scende, arma in mano, per rispondere al fuoco ma, come si avvicina, è a sua volta bersagliato da pallottole che lo stendono a terra. È allora che il furgone si allontana a tutto gas lasciando a terra i corpi straziati dei due militari.
Comincia l’inchiesta ed è subito evidente che i carabinieri sono stati vittime di criminali che stavano per effettuare una rapina alla cassa dello zuccherificio, che in quei giorni di inizio mese è stata rifornita dei soldi per il pagamento degli stipendi dei dipendenti. Ma chi possono essere gli assalitori? Difficilmente componenti della criminalità comune – si dicono gli inquirenti – perché la mala tradizionale non opera quando sa che il territorio è attivamente sorvegliato da carabinieri e polizia e questo dicembre ’74 vede il massimo controllo delle forze dell’ordine sul territorio a seguito di quanto è successo dall’Italicus in poi. Allora è molto probabile che ad agire siano componenti dell’area politica eversiva, che da tempo pratica i cosiddetti “espropri proletari” per finanziare la propria “lotta armata” contro lo Stato. Così, in questa prospettiva d’indagine, vengono passati al setaccio giovani studenti e operai che gli stessi carabinieri tengono d’occhio come possibili criminali-politici e fra costoro c’è un certo Bruno Valli, che è accompagnato in questura per un interrogatorio che si conclude con il suo fermo cautelare e il trasferimento al carcere di Modena dove, inaspettatamente, si toglie la vita impiccandosi ancor prima di essere imputato dell’omicidio del brigadiere. La circostanza è assai singolare e sembra trovare spiegazione quando il carabiniere Sciarretta (sopravvissuto alla sparatoria che ha ucciso Lombardini) riconosce nel cadavere uno degli occupanti del furgone fermato dalla pattuglia dell’Arma.
Il clima si fa teso anche per la voce di un possibile “trattamento rude” degli inquirenti durante l’interrogatorio in Questura, nel quale il fermato non vuole rispondere su chi è quel “professore” con il quale si dice sia in relazione ma che nega di conoscere.
L’indagine si chiarisce parzialmente nei mesi successivi quando il nome dell’indagato suicida è usato dai terroristi per firmare alcuni atti di violenza politica nel territorio bolognese: Bruno Valli dunque terrorista e uno dei “Gatti Selvaggi” che hanno prima tentato “l’esproprio” poi hanno ucciso il brigadiere ad Argelato.
Si conclude così l’anno 1974 e comincia il ’75 con una serie di attentati politici a Bologna, poi arriva il ’77 con “Marzo” e l’uccisione di Francesco Lorusso.
Ormai “l’oasi tranquilla” del capoluogo emiliano, governato da socialisti e comunisti, è profondamente turbata e così si infrange la vetrina del buon governo della sinistra nel capoluogo d’Italia che è rimasto il solo a distinguersi nel quadro politico nazionale di centro destra.
Arriva il ’78 e c’è il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro che ha alcuni riflessi bolognesi che vogliamo ricordare, come quello riguardante la “seduta spiritica” di Zappolino, raccontata il 4 aprile (in pieno sequestro e a meno di un mese dal rapimento) dal bolognese Romano Prodi, esponente politico di primissimo piano che riferisce agli inquirenti anche di essersi recato, due giorni prima, a casa del conoscente, professor Antonio Clò, e qui di avere assistito a una seduta spiritica durante la quale il defunto professor La Pira è stato interrogato su “cosa sa” in relazione alla prigione del presidente della Democrazia Cristiana. Lo spirito si è mostrato collaborativo e ha risposto con la tecnica spiritica del piattino, che consiste nel far girare un trottola che conclude il suo frullare su alcune lettere dell’alfabeto che a loro volta compongono delle parole. “Dove si trova ora Moro?” è la domanda e “Gradoli” è la risposta data dall’aldilà. Verifica e grande perlustrazione militare nel comune di Viterbo, nel Lazio, che porta proprio questo nome, ma nulla di nulla. Si saprà poi che l’indicazione non era sbagliata perché effettivamente Moro è transitato per “Gradoli”, inteso però come via di Roma e non come paesino sui colli limitrofi. Cattiva interpretazione dell’indicazione spiritica o, addirittura, volontà di sbagliare? Nessuno ha mai risolto questo mistero.
Ed eccoci al 29 febbraio 1979 con la sparatoria in un bar di Torino e l’uccisione di due terroristi, Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi, appartenenti alla compagine terroristica di Prima linea. Vogliono punire il proprietario del locale pubblico sospettato di avere chiamato i carabinieri per sventare un altro atto terroristico, ma sono a loro volta scoperti e falciati a raffiche di mitra. L’episodio accade in Piemonte ma ha saldi legami bolognesi, in quanto Barbara Azzaroni ha vissuto e operato nel capoluogo emiliano come insegnante. È uno choc per la città e i suoi funerali, il 6 marzo sotto le Due Torri, vedono la partecipazione di una vera folla di conoscenti. I giornali parlano di questa cerimonia funebre e alcuni servizi si intrattengono anche sui trascorsi sentimentali di Barbara che avrebbe avuto, dicono, una doppia relazione amorosa con due terroristi emiliani latitanti.
Il particolare privato “offende” i terroristi che non tollerano insinuazioni da gossip nella vita-di-lotta dei loro militanti e manifestano concretamente la loro disapprovazione con due incursioni incendiarie sulle porte di casa di coloro che hanno scritto “cose schifose” per infangare le figure di una “combattente”. Inizia così una campagna contro la stampa che, dicono, si è prestata alla operazione di discredito “suggerita evidentemente dalla polizia”. E in questo quadro il 13 marzo, a circa una settimana dai resoconti, l’assalto alla sede del sindacato dei giornalisti in via San Giorgio a Bologna con “l’effetto collaterale” della morte di Graziella Fava.
L’inchiesta parte da questa premessa e cerca di identificare i possibili autori fra i sospettati della frangia terroristica che ha dato inizio alla “campagna contro la stampa” ma con risultati privi di concreti riscontri accusatori. La Procura della Repubblica di Bologna mostra poi due diversi indirizzi che – come si desume dalle carte – inducono un Pm a indagare a destra e un altro a sinistra. È un pasticciaccio che si protrae per quasi un anno e si spegne per il sopraggiungere di altri eventi ben più gravi della morte “accidentale” di Graziella Fava e cioè l’abbattimento del DC9 a Ustica e la strage alla stazione ferroviaria di Bologna, che fanno calare il sipario sulla volontà di continuare una indagine secondaria che si ritiene di chiudere “opportunamente” con una motivazione di non doversi procedere “perché non identificati gli autori del reato”. Per Graziella Fava è la seconda morte dopo quella del 13 marzo 1979 e nella sua tomba viene sepolta pure la Verità giudiziaria.
Da allora fino ad oggi i giornalisti hanno tentato di far sopravvivere almeno il suo ricordo con una serie di iniziative che si sono concretate, fra l’altro, in iniziative benefiche a suo nome e nella pubblicazione anche di un libro (La vetrina infranta) che ha raccolto testimonianze e riflessioni.
Qualcuno fra noi ha sollecitato anche la riapertura dell’inchiesta invocando il “chi sa parli” fra i testimoni di quel tempo sciagurato, a cominciare da quel “professore” in relazione con Bruno Valli e identificato in Toni Negri dalla successiva inchiesta giudiziaria. Ma nessuno finora ha risposto all’invito, forse perché tutti ritengono “conveniente” mettere una pietra sopra a quel tempo che fu anche di spiacevoli connivenze e di imbarazzanti derive politiche.
Ma i giornalisti non hanno perso ancora la speranza e continuano ogni anno a riproporre il ricordo di Graziella Fava con l’auspicio che la terrificante morte di una donna innocente possa indurre a far nascere un moto di rimorso in chi finora ha taciuto e lo induca a far risorgere due esistenze sepolte senza pace: la memoria privata dei famigliari di Graziella Fava e la Verità di Giustizia invocata dalla collettività intera.
Claudio Santini
Presidente del Consiglio di disciplina territoriale Odg Emilia-Romagna, giudiziarista del Resto del Carlino negli “anni di piombo”
(10 aprile 2019)