Sempre più attivo il Servizio Tutela Legale di AIRF a difesa delle immagini. Per affinare la sinergia tra Odg e fotogiornalisti servirebbe un Gruppo di lavoro dedicato. I cambiamenti possono generare opportunità ma anche rischi, comunque devono essere rispettosi delle regole
Andrea Pattaro fa parte del Consiglio Direttivo e cura le pubbliche relazioni di AIRF – Associazione Italiana Reporter Fotografi. È veneziano, fotografo professionista, giornalista pubblicista. Nello scorso mandato dell’Odg, ha fatto parte del Consiglio nazionale e del Gruppo di lavoro “Giornalismi” del Cnog. È fiero delle iniziative di AIRF, del trend positivo del Servizio Tutela Legale dedicato a fotografi e salvaguardia delle immagini, ma non nasconde preoccupazione per la condizione “fragile” di molti colleghi nell’attuale scenario del lavoro e per la forte crisi della professione giornalistica in Italia.
Quando sei entrato nell’Associazione e qual è il tuo ruolo?
«Sono fresco all’AIRF. Faccio parte del Consiglio da qualche mese, da quando sono state rinnovate le cariche e ho il compito di curare le pubbliche relazioni. Però da quando ho iniziato a lavorare, negli anni ’80, sono sempre stato in contatto con AIRF, soprattutto con il past president Mario Rebeschini col quale ho condiviso un’esperienza di oltre quattro anni nel Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Forse anche per questo si è instaurato un rapporto profondo. L’AIRF è sempre stata punto di riferimento per me e per tutti i fotogiornalisti in Italia. È un’associazione storica, forse la più storica, che ha contribuito in maniera determinante a far riconoscere il ruolo di fotogiornalista all’interno dell’Odg. Anzi, è l’unica associazione nazionale di reporter e fotografi riconosciuta dall’Ordine dei giornalisti».
Cosa significa occuparsi delle pubbliche relazioni in una realtà come AIRF?
«Significa fare un ragionamento per intrattenere relazioni con i fotografi ma soprattutto con le associazioni e gli organismi di riferimento. Stiamo lavorando su più fronti. Innanzitutto sulla difesa degli iscritti con il Servizio Tutela Legale, unico in Italia, che è al secondo anno e dal 2017 ha avuto un ottimo riscontro con 10-12 contenziosi risolti per via stragiudiziale. Poi cerchiamo di avere un miglior legame con l’Ordine dei giornalisti regionale e nazionale e con le altre associazioni di fotografi, soprattutto a Roma e Milano. Inoltre, ci stiamo muovendo sul versante del MiBACT, in quell’organismo all’interno del Ministero dei Beni Culturali che tutela la promozione culturale della fotografia. Questo perché vogliamo sviluppare più a ventaglio la proposta di AIRF e quindi essere presenti sulle questioni culturali ma anche dare risposte ai professionisti cercando di intessere una nuova trama di relazioni».
Quanti soci ha AIRF? La tipologia degli iscritti è cambiata nel corso del tempo?
«Abbiamo più di 200 soci professionisti sparsi in tutta Italia. Siamo un popolo importante di fotografi che fanno prevalentemente fotogiornalismo. Certo, la nostra associazione, come tutte le altre, rispecchia un po’ l’andamento generale del paese. Un tempo c’erano tanti fotogiornalisti “puri”, oggi, per via della crisi dell’editoria, molti hanno necessità di trovare nuovi sbocchi commerciali e quindi fanno anche altro: uffici stampa, pubbliche relazioni, attività per conto di aziende. Non è una scelta, sono “costretti” a farlo, come tanti giornalisti».
Diversi soci AIRF sono anche giornalisti professionisti o pubblicisti, quindi hanno un doppio profilo: fotografo-fotogiornalista e giornalista in senso stretto. È così?
«Sì certo, molti sono iscritti anche all’Odg. Io per esempio sono iscritto sia all’Ordine dei giornalisti che all’AIRF. E chi è iscritto all’Ordine non può esimersi dal rispettare il codice deontologico dei giornalisti. Comunque, per rilasciare la tessera dell’AIRF il Consiglio Direttivo fa una selezione molto rigida, al pari dell’Odg. Chi vuole iscriversi deve dimostrare che svolge attività per editori, testate giornalistiche, siti internet registrati. Insomma, deve fornire una documentazione che comprovi che fa fotogiornalismo e giustifichi il rilascio di una tessera che possa aiutarlo nel suo lavoro. Se non è fotogiornalista, la tessera non gli serve. C’è molta attenzione, ma questo purtroppo non basta a contrastare le criticità del nostro settore».
Rispetto all’attuale mondo del lavoro, qual è la tua esperienza di fotogiornalista? Quanto è ampia la frangia di precariato nel comparto della fotografia di informazione?
«Mi occupo di fotogiornalismo dal 1988. A Venezia ho un’agenzia che si chiama Vision, con un altro socio, e lavoro per quotidiani locali ma anche per agenzie nazionali e internazionali. La crisi dell’editoria colpisce tutti, ma non tutte le realtà sono uguali. Sicuramente tocca meno i giornalisti inquadrati con i vecchi contratti e maggiormente i collaboratori. Di fatto, quasi tutti i fotogiornalisti sono collaboratori, a parte pochi assunti dalle grandi agenzie, ma parliamo di una decina di colleghi in tutta Italia. Per noi il precariato è sempre stata la norma, non è una novità. L’esigenza della tutela legale deriva da questa situazione complessa e sempre più “rischiosa” per i fotografi, perché con l’avvento di Internet è aumentata la possibilità di depredare archivi e fotografie dei professionisti. Probabilmente bisognerebbe fare una rivisitazione della Legge 663 sul Diritto d’autore, anche alla luce del web, per adeguarla alla normativa europea, che è molto più chiara e non distingue tra semplice fotografia e fotografia d’arte elevata a fotografia creativa. In Francia, Inghilterra, Spagna, Germania e in altri paesi la fotografia è fotografia. L’immagine di un autore, che sia brutta o bella, vale come un testo. In Italia invece persiste questa distinzione. Ma chi è in grado di dire se una fotografia è creativa?».
Che tipo di “scorrettezze” deve affrontare il vostro Servizio Tutela Legale?
«Normalmente sono furti di immagine, che avvengono soprattutto attraverso i canali digitali perché sul web c’è poco controllo. Il dato positivo è che una decina di casi sono stati risolti prima di andare in causa. È molto importante che il Servizio Tutela Legale funzioni in prima istanza e subito. Perché se hai un avvocato serio che sa come trattare e anche come trattare il corrispettivo eventuale, fa in modo di non andare a giudizio, altrimenti si aprirebbe un contenzioso e non avrebbe senso il costo. Ma è importante anche perché si crea giurisprudenza. E in mancanza di una legislazione perfetta – come non è perfetta quella italiana che distingue tra fotografia creativa e semplice fotografia, senza ben specificare come – è ancora più difficile stabilire criteri. Da qui nasce l’esigenza di dare una risposta di questo tipo ai colleghi. Il Servizio Tutela Legale di AIRF sta andando bene: è un punto di riferimento per gli iscritti con legali che conoscono la materia e la giurisprudenza».
Sei stato nel Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti lo scorso mandato, quando il numero dei componenti era maggiore e all’interno c’erano anche dei fotogiornalisti.
«Sì, eravamo tre fotografi la passata legislatura. Avere dei fotografi all’interno del Consiglio ha aiutato a vagliare molte tematiche e problematiche e anche a risolverle. Adesso, anche a causa della riduzione dei numeri, purtroppo non c’è nessun fotogiornalista nel Consiglio nazionale dell’Odg».
C’era anche un gruppo di lavoro del Cnog dedicato al fotogiornalismo?
«Non proprio. C’era un gruppo di lavoro che si chiamava “Giornalismi” e riuniva varie specializzazioni compresa la nostra. Eravamo due fotogiornalisti, altri cinque consiglieri più un esterno. Abbiamo fatto diversi lavori, sviluppato ragionamenti, preso parte alla stesura di una probabile riforma dell’Ordine che teneva d’occhio anche i problemi dei fotogiornalisti con proposte serie. Però è rimasta in un cassetto. Si sa, cambiano i governi, cambiano i ministri, cambiano le intenzioni, non so cosa ne sarà di quella proposta. Comunque, considero quei quattro anni nel Cnog molto significativi, perché sono state fatte cose importanti. Come la Legge sull’Equo compenso, che poi è stata disattesa dal Governo stesso, andando contro sentenze che l’Odg aveva vinto in Consiglio di Stato. All’interno c’erano anche richieste dei fotogiornalisti da tenere in considerazione, ma ancora oggi la legge è in attesa. Mi auguro che l’attuale Consiglio presieduto da Carlo Verna cerchi di ricostituire un Gruppo di lavoro sui giornalismi. Come AIRF siamo più che disponibili, come penso anche altre associazioni, a prendere parte a una iniziativa di questo tipo».
Che ne pensi delle nuove declinazioni del lavoro (smart working, influencer, social media manager) che si stanno profilando nel settore dell’info-comunicazione? Ritieni che possano funzionare anche per il fotogiornalismo?
«È una domanda molto complessa, forse la più importante perché riguarda la situazione generale che stiamo vivendo da alcuni anni. Per il professionista i cambiamenti possono generare possibilità ma anche rischi. Non bisogna avere paura delle trasformazioni, ma saperle adattare. E comunque, i cambiamenti devono essere rispettosi delle regole. Faccio chiarezza: il giornalismo e il fotogiornalismo sono in crisi per via di vari fattori legati all’editoria, ma non è di aiuto, per esempio, la faccenda delle fake news. Bisogna porsi delle domande. Chi è titolato a diffondere informazioni e materiale fotografico di un evento, magari anche di un fatto di cronaca grave? Come si pone il lettore di fronte ai nuovi media e all’immediatezza delle immagini che arrivano, che possono essere manipolate? Quindi, attenzione a come vengono veicolate le notizie e le immagini. Chi deve divulgare le notizie, se non un giornalista? Chi più di un fotogiornalista, che comunque è iscritto all’Ordine e risponde a una associazione, può dare garanzia al lettore? La mia opinione è che il tempo farà smontare tutto. Il fatto che tutti possono postare non dà una garanzia di veridicità, perché tutto va comunque controllato, verificato. La fotografia ha anche delle implicazioni e dei controlli maggiori da fare, perché parla da sola: ci sono situazioni in cui racconta più dello scritto. In tutti gli stati generali sull’informazione si afferma che si deve combattere la crisi con la qualità. Ma come si ottiene la qualità? Con un’accurata ricerca della notizia, con giornalisti competenti e fotogiornalisti di professione».
Franca Silvestri
(29 maggio 2018)
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