In Italia 4023 giornalisti subiscono vessazioni. 24 sono sotto scorta. Tante cause e querele temerarie, anche in Emilia-Romagna. L’analisi critica di Alberto Spampinato
Occorre aprire bene gli occhi e la mente e guardare la triste realtà del mondo giornalistico-editoriale per quel che è, in tutti i suoi aspetti. Oggi più che mai dobbiamo trovare il coraggio e la forza necessari per farlo, se vogliamo osservare, studiare e comprendere i problemi concreti che ci stanno davanti.
Dobbiamo farlo se vogliamo affrontarli a ragion veduta per risolverli, se vogliamo soccorrere adeguatamente, com’è necessario, chi è stritolato da problemi da troppo tempo irrisolti che si sono aggravati nella morsa del cambiamento senza regole. Dobbiamo farlo se vogliamo influire sul corso delle cose e dare un futuro alla professione giornalistica e all’informazione di qualità.
Venti anni fa, quando la crisi attuale cominciò a manifestarsi con effetti drammatici, avremmo potuto imboccare questa strada. Invece prevalse la scelta di stringere i denti e attendere che la tempesta passasse seguendo il noto detto siciliano “calati junco che la cina pansa”. Ma quella non era una tempesta passeggera, tant’è vero che dura tuttora. Fu un errore ed è un grave errore continuare a fare come se fosse così. La persistenza nell’errore di valutazione è forse la principale ragione per cui il giornalismo in questi anni si è indebolito e continua a indebolirsi.
Bisogna aggiornare la diagnosi e la terapia, davanti al progredire di una crisi ben diversa da quella che si immaginava: una crisi che ha già fatto perdere milioni di lettori, migliaia di posti di lavoro stabile e si fa ogni giorno più profonda e drammatica, al punto da rendere ormai incerto il futuro del giornalismo inteso quale professione esercitata liberamente nell’interesse pubblico, svolta all’insegna del pluralismo e dell’indipendenza dalle fonti e nel rispetto di un codice etico e professionale non derogabile. Se resteremo ancora a guardare passivamente il corso delle cose, o ci limiteremo a sognare un impossibile ritorno al passato, presto il giornalismo sarà interamente sostituito dalla propaganda e avremo un destino da Grande Fratello.
L’esperienza dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione dimostra che è possibile cambiare il modo di vedere le cose e di conseguenza il modo di affrontare i problemi.
L’osservatorio è nato in Italia nel 2008 proprio per osservare e studiare, in modo approfondito, uno dei problemi più gravi e insoluti. Un problema che era – e ancora oggi è – il più drammatico per i giornalisti e il giornalismo: il fenomeno debolmente contrastato delle intimidazioni e minacce a loro rivolte allo scopo di impedirne o ostacolarne l’attività.
Allora questo fenomeno era poco conosciuto, era trascurato e ampiamente minimizzato o addirittura negato. Ciò rendeva le vittime ancora più deboli e isolate. Con il suo monitoraggio ininterrotto, con i suoi rapporti pubblici, l’osservatorio è riuscito a rompere il silenzio e, anno dopo anno, anche a cambiare la percezione del fenomeno, portando in primo piano quello che chiamavamo “il problema che non c’è” e destando un interesse via via crescente delle organizzazioni di categoria e delle istituzioni, convincendo anche i più scettici ad aprire gli occhi e vedere ciò che accadeva in Italia.
Voglio sottolineare che Ossigeno ha svolto questa missione impossibile quando nessuno voleva credere che in Italia ci fossero così tanti giornalisti minacciati, quando nessuno ne parlava. Come argomento di convinzione ha usato la forza dei fatti, ricostruendo migliaia di storie le quali dimostrano che minacce e intimidazioni di questo genere sono numerosissime e impediscono a molti giornalisti di esercitare liberamente la loro professione.
Per raggiungere questo scopo, Ossigeno per l’Informazione ha usato il giornalismo d’inchiesta come strumento in grado di descrivere verità nascoste e di attivare interventi in grado di aiutare i giornalisti sotto tiro. Con lo stesso strumento, ha indicato e analizzato le cause di questo problema. Ha detto che le minacce e le intimidazioni sono così gravi e numerose a causa di inadempienze delle autorità, di leggi anacronistiche e punitive, di vuoti legislativi che non si vogliono colmare, della mancanza di una vera solidarietà, dell’assenza di strumenti adeguati per soccorrere chi ingiustamente viene ostacolato e si trova isolato e senza mezzi per difendersi. Con la sua attività, fra l’altro, Ossigeno ha portato in piena luce il problema, allora pressoché sconosciuto, della miriade di cause e querele per diffamazione a mezzo stampa – pretestuose, infondate, temerarie – usate impunemente a scopo di intimidazione e di ritorsione. Ha inoltre riportato alla luce le storie dimenticate dei giornalisti uccisi o ridotti al silenzio in Italia da chi voleva impedire in ogni modo che cercassero la verità su vicende di interesse pubblico e la facessero conoscere a tutti. Elencando 4023 nomi e cognomi di cronisti che oggi subiscono vessazioni dello stesso tipo e per le stesse ragioni, Ossigeno ha dimostrato che quelle storie parlano di problemi attuali.
Questo lavoro è stato condotto con il volontariato professionale, grazie al sostegno fondamentale di alcuni Ordini regionali e dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e in collaborazione con le stesse vittime e le più autorevoli istituzioni nazionali e internazionali. Questo lavoro ha prodotto i suoi frutti. Ha consentito di svegliare le coscienze, di portare il fenomeno in piena luce, di suscitare l’attenzione della politica e del parlamento, di indicare la natura del problema, di misurarne la vasta dimensione e di proporre al tempo stesso alcune importanti contromisure da adottare.
Tutto ciò permette oggi a Ossigeno di passare alla fase successiva che consiste nel promuovere proposte e azioni concrete per risolvere gradualmente il problema e, in attesa che queste soluzioni si concretizzino, di fornire misure di sostegno e assistenza a chi subisce le ingiustizie più gravi e da solo non sarebbe in grado di resistere.
In questa nuova fase, l’osservatorio ha individuato due inderogabili esigenza: quella di rafforzare ed estendere le reti di solidarietà esistenti e quella di sollecitare una maggiore unità fra le varie organizzazioni che difendono i giornalisti, la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Dobbiamo unire le forze in campo e agire in modo sinergico se vogliamo contrastare il vasto e potente fronte dei difensori dell’attuale status quo in cui il 90% delle violenze e degli abusi contro i giornalisti rimane impunito.
Per quanto riguarda la sua attività, negli ultimi mesi Ossigeno ha ritenuto opportuno impegnarsi per promuovere una rete internazionale di solidarietà specifica per le giornaliste di inchiesta. Questa nuova rete si propone di sostenerle offrendo loro strumenti di collaborazione professionale e un concreto sostegno a quante subiscono minacce e intimidazioni. Perciò insieme ad altre organizzazioni, con la collaborazione di Marilù Mastrogiovanni, organizzatrice insieme a GiULiA Giornaliste del Forum delle Giornaliste del Mediterraneo, Ossigeno ha elaborato un progetto che consentirà di produrre più “ossigeno” per queste giornaliste, individuate come l’anello più debole della catena informativa, sia in quanto giornaliste sia in quanto donne.
Ossigeno inoltre chiede a tutti coloro che difendono la libertà di stampa e hanno a cuore la sicurezza dei giornalisti, di fare un passo avanti nel modo di affrontare il problema delle intimidazioni e delle minacce.
A richiedere questo cambio di passo è la perdurante gravità dei fatti, confermata dai casi documentati negli ultimi mesi dall’osservatorio. Ne cito alcuni. Fra ottobre e novembre 2019, altri tre giornalisti italiani sono stati messi sotto scorta a causa di minacce di morte. Con loro, adesso in Italia i giornalisti sotto scorta sono 24, un numero che non ha eguali nel resto d’Europa. In Italia negli ultimi anni altre centinaia di giornalisti hanno subito minacce così gravi da indurre le forze dell’ordine a proteggerli con continuità con le cosiddette misure di vigilanza. C’è da ricordare che altre migliaia di giornalisti e blogger ogni anno devono difendersi da cause e querele per diffamazione a mezzo stampa pretestuose e infondate (nove su dieci, secondo i dati ufficiali pubblicati da Ossigeno, una percentuale che si riscontra anche in Emilia-Romagna) che, oltre a creare angoscia e a mettere in forse la possibilità di proseguire la loro attività lavorativa, incidono sensibilmente sulle loro risorse personali. E periodicamente si verificano episodi di estrema gravità come, ad esempio, l’aggressione del 14 novembre 2019 in Campania contro il giornalista Mario De Michele, che è stato bersaglio di una sparatoria e ha rischiato di essere ucciso. Altri gravissimi episodi si sono verificati negli anni scorsi.
Questa emergenza dura da molti anni. Si può affermare con certezza perché da oltre dieci anni è documentata in dettaglio e con continuità da Ossigeno, che ha portato i fatti in piena luce invitando tutti a parlarne, a fare denunce e proposte. Quando noi di Ossigeno abbiamo cominciato a farlo eravamo davvero pochi a parlarne ed era difficile convincere gli altri.
Da qualche anno, per nostra fortuna e con nostro conforto, non è solo Ossigeno a parlare di queste cose, a illustrare i fatti, a sviluppare iniziative e proposte, a dare visibilità ai minacciati. Ormai le principali organizzazioni dei giornalisti si costituiscono parte civile nei processi, sollecitano attivamente il mondo politico e le forze dell’ordine.
Tutto ciò dice che il lavoro svolto dal 2009 in poi non è stato inutile. Ma ora bisogna fare un passo avanti e passare dalle parole ai fatti. La prima cosa da realizzare, nell’attesa che si adottino le più adeguate misure, è proprio questa: creare reti di solidarietà più robuste in grado di aiutare concretamente a resistere chi subisce abusi e violenze ingiustificabili e non può difendersi con le sue sole forze. Ciò richiede certamente una sinergia fra le forze in campo. Richiede anche che i giornalisti facciano meglio la loro parte, diano il buon esempio. Innanzitutto combattendo quel luogo comune molto radicato secondo il quale un giornalista minacciato o querelato sicuramente ha fatto qualcosa di sbagliato o “se l’è cercata”. Non è così ma molti giornalisti lo pensano e ciò ci indebolisce.
Un’altra cosa che i giornalisti potrebbero fare è questa: fornire come cronisti, come redattori dei giornali, come direttori delle varie testate, una informazione più ampia, più completa e continuativa sulle minacce che colpiscono i loro colleghi e impediscono ai cittadini di conoscere molti fatti di pubblico interesse. Credo che così si darebbe un grande contributo agli sforzi collettivi che noi e altri facciamo per sensibilizzare le coscienze. Questo contributo sarebbe ancor maggiore se, inoltre, queste notizie, quelle poche volte che vengono pubblicate, fossero contestualizzate, com’è doveroso per ogni informazione giornalistica, inserendo ogni singolo episodio nel quadro generale del fenomeno. Come si fa, ad esempio, nel riferire la notizia di uno stupro. Ormai si avverte la necessità di dire quanti altri episodi si sono verificati in tutta Italia e nella stessa zona, e si precisa quando: nell’ultimo mese, nell’ultimo anno e con quali similitudini. Ciò sarebbe estremamente utile per fare comprendere la gravità del fenomeno. Sarebbe anche doveroso. Perché pochi lo fanno? Mi chiedo se agire così, oltre ad essere una mancanza di sensibilità, sia anche un errore dal punto di vista professionale e forse anche una violazione deontologica.
Onestamente, non lo so stabilire con certezza, ma penso di sì. Vorrei che su questo e altri punti riflettessimo insieme, ragionando pacatamente, organizzando dei confronti fra chi la pensa come me e chi invece non è d’accordo. Parliamone e chiariamo questi punti, se vogliamo davvero impegnarci efficacemente per promuovere un’informazione corretta e di qualità. So che anche il presidente dell’Ordine, Carlo Verna, ha soffermato il pensiero su questi aspetti della nostra professione e spero che ci sia l’occasione di discuterne pubblicamente e di offrire a ognuno elementi utili per orientarsi.
Alberto Spampinato
Direttore di Ossigeno per l’Informazione – Osservatorio sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza
(19 gennaio 2020)