Addio a Ernesto Leone, “anima” di Libertà
I fatti sempre separati dalle opinioni, il lettore che con il suo obolo per l’acquisto del giornale ha il diritto di capire ogni parola di un articolo e, infine, la possibilità per tutti di poter esprimere il proprio pensiero.
Questi erano i chiodi fissi di Ernesto Leone, per decenni anima della Libertà di Piacenza, il quotidiano nel quale è stato prima cronista, poi caporedattore e infine direttore nel 1994, alla morte del cugino Ernesto Prati.
Ninino (così lo chiamavano gli amici) ci ha lasciato in silenzio l’altro giorno alla soglia dei 91 anni. E non poteva essere diversamente. Lui, un professionista d’altri tempi che non amava la ribalta, concreto, come lo sono i piacentini. Dotato di una ironia sottile e arguta era però nello stesso tempo inflessibile nel lavoro. Terrore di anziani e giovani giornalisti, una sorta di sergente Hartman della redazione di Libertà.
Verso la fine degli Anni Ottanta, quando entravo nel suo ufficio mi tremavano le gambe e il più delle volte uscivo dopo essermi inginocchiato a raccogliere i fogli dell’articolo che avevo appena scritto, sparsi sul pavimento. Nella redazione di Libertà di fine Anni ’80 non era ancora il tempo delle riunioni ingessate dove le parole vengono misurate in una sorta di politicamente corretto. Nella Libertà di quegli anni, a metà pomeriggio dall’ufficio di Ernesto Leone, il nostro caporedattore, si sentivano le urla fino al bar della Teresa giù in strada, in via Benedettine.
Ogni caposervizio, in coda come oggi al supermercato, entrava a discutere del menu del giorno e gli scambi di idee, vi assicuro, erano un po’ più che vivaci.
Io sebbene fossi solo l’ultimo dei praticanti, ebbi il privilegio di poter confrontarmi direttamente col capo sulle pagine di agricoltura/economia che mi erano state affidate e che dipendevano da lui.
E giusto per non farmi sentire a mio agio, per la sua amicizia con mio papà, ero uno dei pochi a cui dava del tu. Che fortuna direte. Niente affatto. Per fare in modo che non mi montassi la testa mi asfaltava regolarmente ogni giorno.
Tutto quello che di questo mestiere ho imparato lo devo però a lui. Ancora oggi quando scrivo un pezzo mi sembra di averlo accanto mentre alla sua maniera mi spiega che non sono sufficientemente chiaro dicendomi: “… in fondo al pezzo ci mettiamo per informazioni telefonare ad Antonio Boschi?”.
Non risparmiava nessuno e di storie come questa ce ne sarebbe un’infinità.
Vi propongo questa rubata al collega Giorgio Lambri, capocronista di Libertà: “mi costrinse a telefonare a mia mamma dopo che in un articolo avevo usato la parola idiosincrasia al posto di odio, se sua mamma sa quello che vuol dire lo mettiamo, mi disse; non lo sapeva e così usai il vocabolo più semplice e conosciuto”.
Allora facevo fatica a capirlo, ma alcune ore con lui valevano come intere sessioni di scuola di giornalismo. Articoli semplici essenziali, dove gli aggettivi sono quasi banditi e dove il protagonista era il fatto e mai il giornalista.
Mi piace pensare che ora leggendo queste righe, abbozzerà un sorriso da sotto i baffi, lo stesso che vedevamo solo a sera tardi, al primo giro di rotativa.
Antonio Boschi
Segretario del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti Emilia-Romagna
L’Ordine regionale dei giornalisti esprime il proprio cordoglio alla famiglia e ai colleghi di Libertà.
(27 maggio 2020)