L’arte finissima di Alfredo Panzini negli articoli di Terza Pagina in un volume singolare curato dal collega Claudio Monti
Si intitola Alfredo Panzini: fantasmi e persone. Un intellettuale controcorrente nel secolo della terza pagina il nuovo libro a cura di Claudio Monti, pubblicato da Biblion Edizioni.
Contiene la prefazione del professor Alessandro Scarsella, docente di letterature comparate all’Università Ca’ Foscari di Venezia, un saggio introduttivi di Claudio Monti, e raccoglie tutti gli articoli che Panzini scrisse sulla terza pagina del Carlino dal 1912 al 1924, quando poi passò al Corriere della Sera.
La ricerca ha permesso di rettificare anche la bibliografia ufficiale consolidata che indicava la presenza di Panzini al Carlino tra il 1908 e il 1928 con 53 articoli, in realtà le date esatte furono quelle indicate sopra e gli articoli quasi il doppio: 90.
Con “Avventura senza avventure”, 8 settembre 1912, Panzini inaugurava la sua più che decennale collaborazione al Resto del Carlino, che con Mario Missiroli aveva appena aperto la strada alle novelle in terza pagina, cominciando il 4 agosto 1912 con “Le penne del pavone” di Daniel Riche.
Una terza pagina che Missiroli rese frizzante e di assoluto livello, sulla quale spiccavano, insieme a Panzini, le firme di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Giorgio Sorel, Giovanni Amendola, Ardengo Soffici, solo per ricordarne alcuni.
Di cosa scriveva Panzini? Novelle, appunto, elzeviri, recensioni librarie (dedicate ad Ada Negri, Giovanni Pascoli, Marino Moretti, Axel Munthe, Virgilio Bondois e altri), momenti e personaggi storici, letterati (come Renato Serra) racconti di viaggio non senza alcune divagazioni gastronomiche. L’arte finissima e le malizie del consumato scrittore, il ritmo spezzato e incalzante, rendono la totalità di questi articoli godibilmente leggibili anche un secolo dopo la loro stesura.
Tra i contenuti salienti, troviamo la riflessione sulla prima guerra mondiale accanto a una serie di acute osservazioni sulle debolezze dell’Italia (“il paese dell’ordine nel disordine, della disciplina nella indisciplina, della legge naturale in mancanza delle buone leggi”) e più o meno tutti i cardini del “Panzini pensiero”: la scuola, le donne, la famiglia, la moda, gli idoli della società dei consumi e il “desiderio folle del superfluo”, il visionario allarme demografico sul futuro dell’Europa (“C’è pericolo che l’Europa non basti più a se stessa”), i romagnoli (“rivoluzionari” solo nelle “parole un po’ gonfie”, ma “gente intimamente pacifica e forse conservatrice”) e la Romagna, il suo paese dell’anima.
“Panzini è stato tra i più acuti apripista della sofferta meditazione sulla guerra come crisi di civiltà”, scrive Monti, “il mare rosso tra i due secoli” come la definì l’autore della “Lanterna di Diogene”.
Il libro contiene numerose novità, tanto che il professor Scarsella annota che “apre la stagione nuova nella critica panziniana”. Eccone alcune: i carteggi, fino a oggi inediti, con Arnoldo Mondadori (che arriverà a proporre a Panzini di lasciare l’insegnamento per dedicarsi “per intero e unicamente alla Mondadori”); l’incontro con il grande storico delle religioni, Mircea Eliade, che poi su due riviste romene recensirà alcune opere di Panzini; i documenti che ribaltano il cliché dell’intellettuale “di regime”, facendo emergere invece che lo scrittore sarà anche censurato durante il Ventennio e più volte messo nel mirino dai giornali di più stretta osservanza fascista. Viene poi ricostruita la vastissima collaborazione di Panzini a quotidiani e periodici, circa ottanta, comprese numerose testate straniere, e documentata la sua iscrizione all’Albo professionale della categoria nel momento in cui andò in pensione dall’insegnamento. Lo ritroviamo su “La Voce” e “Leonardo” a guida Prezzolini, sulla “Nuova Antologia”, “L’Illustrazione Italiana”, “Pègaso”, “L’Italia letteraria” e tante altre.
Saltano fuori i tratti di un conservatore dissidente, con un profilo culturale di spessore, conteso da editori e direttori di giornali, che ha amato i mezzi di comunicazione: nelle vesti di un Alberto Manzi ante litteram, nel 1938 tenne alla radio le lezioni sulla lingua italiana. Si è interessato al cinema, come autore delle didascalie per il kolossal “Gli ultimi giorni di Pompei”, il suo “Il padrone sono me!” ha avuto una trasposizione per il grande schermo (sceneggiatura e regia di Franco Brusati) nel 1956 e un altro dei suoi romanzi, “La madonna di mamà” diventò un film per la televisione.
Chi è stato davvero Alfredo Panzini? Non è facile rispondere compiutamente a questa domanda, ma alla luce dello studio di Claudio Monti, si può certamente sostenere che è stato uno spirito libero, che non ha tollerato “i bari che mettono in circolazione i falsi valori”, che ha spesso polemizzato con i portabandiera dell’idealismo (Croce e Gentile), mentre l’immagine dell’Anti-D’Annunzio che gli è stata appiccicata addosso deve essere rivista: ormai al termine dei suoi giorni, nel 1938, Panzini scriverà un ritratto del vate vergando queste parole: “Tu sei stato il poeta di tutto ciò che le Grazie e le Veneri hanno apprestato di gioia ai mortali”.
A partire dal mese di novembre 2023 viene celebrato a Bellaria Igea Marina – abitò a lungo soprattutto nei mesi estivi nel suo villino sulla ferrovia (oggi Casa Museo) – il 160° della nascita di Panzini con una serie di incontri e approfondimenti, compresa la presentazione del libro.
Non è l’unico anniversario che cade in questo anno: Sergio Zavoli nel 1963 partecipò al concorso indetto dall’Azienda di Soggiorno di Bellaria Igea Marina con il suo documentario “Panzini ha cent’anni” e vinse il primo premio. Nel 1983, si tenne nello stesso Comune il convegno nazionale dedicato a Panzini, poi raccolto in atti da Ennio Grassi (“Alfredo Panzini nella cultura letteraria italiana fra ‘800 e ‘900”), che per la prima volta chiamò a raccolta tutti i maggiori accademici per un confronto a più voci su ciò che è vivo e ciò che è morto di Panzini.
Nel 1903 Panzini compì il suo famoso viaggio in bicicletta da Milano a Bellaria, che nel 1907 diventerà “La lanterna di Diogene”, il cui incipit è celebre: “L’undici di luglio, alle ore due del pomeriggio, io varcavo finalmente, dall’alto della mia vecchia bicicletta, il vecchio dazio milanese di Porta Romana. La meta del mio viaggio era lontana: una borgata di pescatori su l’Adriatico, dove io ero atteso in una casetta sul mare: questa borgata supponiamo che sia non lungi dall’antico pineto di Cervia e che, per l’aere puro, abbia il nome di Bellaria”.
(13 dicembre 2023)