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Addio Remigio Barbieri. Stimato giornalista dell’Unità, scrittore-combattente antifascista, ha raccontato le lotte dei lavoratori a Bologna

Remigio Barbieri per decenni è stato la voce del mondo operaio e contadino bolognese. Una voce scritta e ovunque riconosciuta. Dicevi Sasib, Ducati, Minganti, Officine Casaralta, Sabiem, e cento altre realtà industriali e lui, potevi esserne certo, ne conosceva in ogni piega storia e protagonisti. Quella voce, la voce di Remigio Barbieri, giornalista de l’Unità, scrittore, antifascista, si è spenta in questi giorni a 94 anni. La sua lunga vicenda umana e politica è indissolubilmente legata ad un pezzo importante di storia bolognese, alle lotte dei lavoratori per salari più equi, per i diritti e migliori condizioni di vita. Nato a Medicina il 10 febbraio 1930, figlio di una “generazione senza nome”, quella di genitori proletari, l’uno scariolante l’altra mondina (sempre a seconda delle necessità imposte dallo scorrere delle stagioni) il giovane Remigio si adopera presto in molti mestieri, fattorino di uno studio fotografico, in tipografia o manovale. Adolescente, nella Resistenza sostiene i partigiani con attività clandestine a danno dei nazifascisti. Pescando tra i ricordi raccontava ancora con un guizzo di incredulità negli occhi: “Un giorno in paese un carro armato tedesco, per sfuggire al bombardamento degli Alleati, tentò di nascondersi in un palazzo del centro sfondando a ritroso un muro. I due soldati a bordo incendiarono il mezzo e tentarono la fuga. Subito però vennero bloccati dai Gurka, militari nepalesi affiliati all’esercito inglese, i quali, vedendosi sfuggire il bottino, cioè armi e carburante, estrassero i loro Kukri, affilatissimi pugnali ricurvi, e mozzarono loro la testa davanti a noi tutti”. Antifascista ancora in calzoni corti, Barbieri si iscrive ad Avanguardia Garibaldina guidata da Luigi Longo. Nel 1953 comincia a collaborare con La lotta, periodico della Federazione comunista. L’anno seguente è condannato a quasi un anno di carcere (che sconterà) per avere scritto un articolo contro l’esproprio della Casa del popolo di Crevalcore da parte della polizia. Giornalista professionista dal 1964, quando ormai da tempo lavorava all’Unità, Barbieri ne diviene una colonna portante insieme ad altri compagni, su tutti Sergio Soglia, di cui fu anche vice capocronista nel 1972. Lavoratore tenace ha sempre coltivato una forte passione politica e per la storia. Tra i suoi libri ne segnaliamo due, in particolare: “Le spose di guerra: amori e matrimoni con i soldati alleati”, e “Al di qua della Gengis Khan: i partigiani raccontano”. Di lui si può ben dire che abbia “allevato” due generazioni di cronisti i quali ne conservano un ricordo affettuoso e riconoscente. “Gli devo la passione per le vicende della strategia della tensione – dice Roberto Scardova, cresciuto all’Unità, poi a lungo inviato speciale del Tg3 e autore di grandi reportage – Fu lui, infatti, a mandarmi sul luogo della strage del treno Italicus nell’agosto 1974 che raggiunsi in Vespa con Giuliano Musi. Quella fu la svolta della mia vita professionale”. Remigio Barbieri “un uomo per bene”. Così ne parla Diego Landi, già caporedattore a Bologna. Un’affermazione con la quale è facile concordare. Ma non solo. Con lui se ne va una persona sempre aperta, disponibile, mai animosa. Di più: arguta e giusta. Rubiamo a Michele Smargiassi un aneddoto illuminante. Quando Barbieri vide il titolo dissacrante con cui l’allora giovane cronista aveva titolato la conclusione dolorosa, perché seguita da una sconfitta, di uno sciopero bracciantile “Il podere logora chi non ce l’ha”, lo ammonì accigliato: “Non si prendono in giro i lavoratori, soprattutto quando perdono una battaglia”. E oggi Smargiassi commenta: “Avevi ragione. Avevi un’etica”. Di quell’uomo restano la lezione professionale e l’umana simpatia. Dopo la morte della sua amata sposa, Arianna, oggi a ricordarlo sono, con gli amici e i compagni di una vita e di una stagione spesso bella e irripetibile, i due figli Davide e Dario e i due nipoti. A loro le più sentite condoglianze dei tanti che lo hanno conosciuto, stimato e gli hanno voluto bene.
Sergio Ventura

Il funerale si svolgerà venerdì 24 gennaio 2025 alla Certosa di Bologna. Cerimonia laica presso il Pantheon alle ore 11.30 (camera ardente aperta dalle ore 10).

Da oltre sessant’anni era iscritto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, che si unisce al cordoglio di familiari, amici, colleghi e formula sincere condoglianze.

(21 gennaio 2025)