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La libera stampa ha il compito di svelare ciò che il potere vorrebbe tenere celato. Processo “Aemilia”: un intreccio solidale fra Ordine, Sindacato e giornalisti minacciati

È avvocato penalista Valerio Vartolo, in particolare si occupa della difesa dei giornalisti coinvolti in procedimenti giudiziari. È responsabile dello staff legale di Ossigeno per l’Informazione e collabora con l’associazione Articolo21 per la tutela della libertà di stampa.
Da ottobre dell’anno scorso è difensore di fiducia dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna che, insieme all’Aser, si è costituito parte civile nel processo “Aemilia”, la maxi udienza che sta facendo luce sulle infiltrazioni e il malaffare della ‘ndrangheta nella nostra regione.

Mentre a Bologna è ancora in corso l’udienza preliminare, a Reggio Emilia (il 23 marzo) è iniziato il dibattimento del processo “Aemilia”: 148 imputati, 310 testimoni.
«Le due fasi processuali si stanno accavallando. L’udienza preliminare che è cominciata in ottobre a Bologna sta proseguendo e terminerà intorno al 22 aprile. Nel frattempo a Reggio Emilia è iniziata la fase dibattimentale per gli imputati che non hanno scelto il rito abbreviato e i patteggiamenti, che si concluderanno appunto in aprile. Il dibattimento avrà tempi lunghi, non inferiori ai due anni, considerata la mole di 148 imputati e più di 300 testimoni che dovranno essere sentiti e ipotizzando che vengano sentiti anche tutti i verbalizzanti, cioè i funzionari di polizia giudiziaria che hanno svolto le indagini. Questo soltanto per il primo grado, perché poi ci sarà un giudizio di appello e dopo si andrà sicuramente in Cassazione. Bisognerà vedere se l’articolo 416 bis (quello che prevede il reato di associazione mafiosa) reggerà al vaglio di tutti i gradi di giudizio. Sarebbe una delle prime volte che fuori dalla Sicilia, fuori dai contesti in cui la mafia è endemica, radicalizzata, si realizza una condanna su questo tipo di reato. Il concorso esterno in associazione mafiosa richiede degli oneri probatori molto alti e quindi bisognerà vedere se la Procura della Repubblica di Bologna riuscirà a dimostrare l’esistenza di questo reato. Ovviamente come parti civili costituite, come Ordine dei giornalisti e Associazione della stampa dell’Emilia-Romagna, non possiamo che augurarci di sì».

Questo è il primo imponente processo alla ‘ndrangheta che si celebra nel Nord Italia.
«Al Nord sicuramente. Come numero di imputati, credo sia addirittura più grande del maxi processo fatto dal pool di Falcone e Borsellino. Desta scalpore perché viene celebrato in una regione che si credeva immune da questo tipo di fenomeni criminali. È un processo enorme e sarà lunghissimo. Il primo verdetto però ci sarà a breve, perché per circa 100 persone il giudizio terminerà in aprile con gli abbreviati e i patteggiamenti. La fase dell’udienza preliminare di Bologna è importantissima perché, per esempio, se ci fossero delle assoluzioni, a cascata ci sarebbe un riverbero nella fase dibattimentale anche per tutti gli altri imputati».

In un processo come questo che rilevanza ha la costituzione di parte civile e tecnicamente cosa significa?
«La costituzione di parte civile fatta da Ordine dei giornalisti e Associazione della stampa dell’Emilia-Romagna è importantissima. Dal punto di vista giuridico, Ordine regionale e Aser sono parti attive del processo penale. Tecnicamente possono interloquire, interrogare testimoni, concludere, avere uno spazio esattamente come la pubblica accusa, di cui sono a sostegno, e come le difese degli imputati. Quando mi è stato conferito l’incarico, ho ritenuto di accettarlo in quanto mi occupo di difesa dei giornalisti da tempo ma soprattutto perché sia lo statuto dell’Aser che la legge istitutiva dell’Ordine prevedono la tutela materiale e morale dei giornalisti e la difesa della libertà di stampa. Quindi, nell’atto di costituzione di parte civile ho specificato che la nostra non è una presenza simbolica, ma una presenza doverosa, perché sono convinto che Ordine e Sindacato sarebbero venuti meno a un loro precipuo dovere se non si fossero costituiti».

Però la scelta di costituirsi parte civile ha anche un valore simbolico ed etico.
«Simbolico perché si tutela la libera stampa. Quando nell’atto di costituzione ho dovuto motivare e quantificare il risarcimento chiesto agli imputati nei confronti dei quali ci siamo costituiti, ho sollecitato il Tribunale a pensare alla storia di questo paese e a quale sarebbe stata se i giornalisti avessero celato, non avessero svolto determinate inchieste, non avessero raccontato cos’è stata la mafia in Sicilia, in Campania o in Calabria. Il dovere della libera stampa di pubblicare notizie, fare inchieste, rendere l’opinione pubblica informata e formata è l’essenza delle democrazie liberali. Per cui la scelta di Ordine e Aser, oltre che giuridicamente ineccepibile, ha un valore squisitamente simbolico. È qualcosa che dovevano fare, non soltanto nei confronti dei giornalisti minacciati, ma per tutti i giornalisti, soprattutto per quelli che domani vorranno scrivere di “Aemilia” o di altre inchieste, che devono sapere che Ordine e Assostampa sono al loro fianco. È quasi un obbligo esserci in questo processo: ha un valore altamente simbolico ed eticamente incommensurabile. Perché significa essere a fianco non soltanto dei singoli giornalisti ma condividere il ruolo principale della libera stampa, che è quello di rendere pubblico ciò che il potere vorrebbe in realtà tenere celato, svelare all’opinione pubblica e quindi porsi davvero come un servizio nei confronti dei cittadini».

A tutela della libera stampa collabora con Articolo21 ed è responsabile dello sportello legale di Ossigeno per l’Informazione.
«Faccio parte di Ossigeno da tre anni e sono responsabile dello sportello legale insieme al collega Andrea Di Pietro. Assistiamo centinaia di giornalisti su tutto il territorio nazionale. Ogni giorno c’è almeno una segnalazione, la stampa è sotto attacco quotidianamente. In Italia sono tantissimi i giornalisti minacciati, più che nel resto d’Europa. Monitoriamo realtà sconvolgenti. Oltre alle minacce di tipo fisico, ci sono altre intimidazioni: le querele in sede penale e le citazioni in sede civile, che costituiscono una vera mannaia. Per una citazione in sede civile il risarcimento non è mai inferiore a 50mila euro e può arrivare fino a 200-250mila. Questo significa che se si scrive per un giornale come Repubblica, il Corriere della Sera o La Stampa forse c’è un’ancora di salvezza, ma se si scrive per un giornale locale si chiude».

E se si è freelance?
«Ai freelance l’editore non paga neanche le spese legali. Il giornalista deve pagare l’avvocato ed eventualmente anche il risarcimento se esce soccombente e poi c’è un rischio ulteriore che è quello dell’autocensura. Chiediamoci quanti giornalisti sono disposti a compiere il proprio lavoro sotto una spada di Damocle di questo tipo. E chiediamoci anche quanti editori sono disposti a sobbarcarsi un rischio del genere. In Sicilia, Calabria, Campania ma anche nel Lazio sono frequenti i casi di editori che allontanano i giornalisti nel momento in cui questi ricevono querele o citazioni in sede civile. Per cui oltre al danno della querela o della citazione si aggiunge la beffa del licenziamento o il fatto di non poter più collaborare con altri giornali perché nessun editore vuole un “rompiscatole” al proprio servizio. È un dramma enorme. E poi in Italia c’è un ritardo culturale: la Cassazione Civile ha recepito la più ampia giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea soltanto nel 2011 e solo allora si è cominciato a parlare di giornalismo d’inchiesta e di giornalisti come cani da guardia del potere».

Per chiudere il cerchio, quale dovrebbe essere il ruolo di Ordine e Sindacato?
«Dovrebbero essere sempre a fianco dei giornalisti. Non solo in casi eclatanti come il processo “Aemilia”, ma in tutti i casi quotidiani. La parte più grande la dovrebbero fare spronando il legislatore affinché ci sia una legge sulla diffamazione che non solo tuteli il sacrosanto diritto alla reputazione personale, ma finalmente anche il sacrosanto diritto alla libertà di stampa. In Italia, bisognerebbe attuare quello che già esiste nei paesi di stampo anglosassone, cioè una sorta di penale, di caparra che chi querela deve mettere sul banco. Sarebbe il deterrente maggiore per far cessare le querele e le citazioni in sede civile. Spesso gli organismi di categoria non funzionano, però ci sono dei casi in cui funzionano e bene, come hanno dimostrato l’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna e l’Aser. È necessario che continuino su questa linea per essere ancora più presenti».


Franca Silvestri

(29 marzo 2016)