Il Testo Unico non ha cambiato le regole. I doveri dei giornalisti sportivi sono sempre gli stessi, anche per gli addetti stampa
Dario De Liberato è un giornalista saggio, schietto, da sempre attento ai valori, al decoro e alla cultura della professione. Attualmente è componente del Consiglio di disciplina nazionale dell’Odg e ha un incarico nell’Unione nazionale giornalisti pensionati (Ungp). Nel suo lungo percorso professionale si è dedicato con passione all’informazione sportiva (di cui tuttora è uno dei massimi esperti) su quotidiani come Il Messaggero, Stadio, La Stampa, il Resto del Carlino e per la sede Rai di Pescara, ma è stato molto attivo anche in organismi e associazioni di categoria. Ha fatto parte della Commissione ricorsi dell’Ordine nazionale, del Collegio probiviri della Fnsi e per 35 anni della Commissione contrattuale del sindacato giornalisti. Per 15 anni è stato vice presidente nazionale e per 5 vice presidente vicario dell’Unione Stampa Sportiva (Ussi).
Con il varo del Testo Unico dei doveri del giornalista è cambiato qualcosa sul versante dell’informazione sportiva?
«In pratica non è cambiato niente. Il Testo Unico è soltanto un sunto, non ci sono novità: non variano i parametri e i punti focali della deontologia del giornalismo sportivo. È stato realizzato per eliminare tutti quei documenti deontologici che ormai facevano soltanto confusione, ma nei contenuti le Carte restano valide, anche se ora la consultazione è da Testo Unico».
Nel settore sportivo, più che in altri, il piano deontologico sembra profondamente intrecciato con l’etica professionale (e personale) del giornalista. Mi pare che questo intreccio non sia sfuggito a chi si è occupato e si occupa di deontologia per il giornalismo sportivo. È una sensazione giusta?
«Sì, è una sensazione giusta ma ha anche una motivazione ben precisa. Dopo gli incidenti di Catania e la morte dell’ispettore di polizia Raciti, i ministri Melandri e Gentiloni (il ministro della comunicazione e quello dello sport) convocarono tutti gli organismi professionali e sindacali della categoria del giornalismo sportivo e presentarono un decreto che disciplinava l’informazione sportiva. Io e il presidente della Federazione nazionale della stampa, che allora era Roberto Natale, ci siamo rifiutati di firmarlo. Il decreto è poi è stato rielaborato da noi, soprattutto abbiamo preteso che le violazioni deontologiche fossero materia di esame della categoria professionale, cioè esclusivamente dell’Ordine dei giornalisti. Non poteva essere un Gran Giurì (come era previsto nel decreto iniziale) formato da qualche giornalista ma soprattutto da avvocati e giudici a decidere deontologicamente sui giornalisti sportivi. Non siamo stati a questo discorso, abbiamo cambiato tutto e alla fine siamo riusciti a firmare un decreto che aveva recepito le nostre istanze, perché non era possibile che un Gran Giurì si sostituisse all’Ordine dei giornalisti. Così è nato il Codice media-sport. Era il 2008. Subito dopo, per evitare altre intromissioni da parte del Governo, ci siamo impegnati (all’epoca ero presidente del Gruppo di lavoro “Informazione e sport” del Cnog) a redigere un Decalogo del giornalista sportivo molto stretto, molto lineare. Forse non ce n’era davvero bisogno, però lo abbiamo fatto per evitare che il Governo stendesse un documento che non stava bene ai giornalisti. Il Decalogo è stato presentato al Consiglio nazionale dell’Ordine ed è stato approvato a pieni voti. Era il 2009».
Ha detto che dal punto di vista deontologico non cambia niente perché il Testo Unico recepisce i principi fondamentali del Codice media-sport del 2008 e i punti nodali del Decalogo del giornalista sportivo del 2009. Ma adesso, chi fa informazione sportiva può osservare più facilmente le regole professionali o si è perso qualcosa in questo testo di sintesi?
«Devo dire la verità, non abbiamo procedimenti disciplinari che richiamano il Codice media-sport o il Decalogo del giornalista sportivo. Sono stato nella Commissione ricorsi e ora sono nel Consiglio di disciplina nazionale dell’Odg (che come si sa è di seconda istanza, è un consiglio di appello che giunge dopo le decisioni dei consigli territoriali) e posso dire che non ci sono procedimenti contro i giornalisti sportivi. Negli ultimi dieci anni non sono stati più di 10 e soltanto 4 si sono conclusi con una sentenza negativa per il giornalista».
Insomma, i colleghi dello sport si comportano abbastanza bene.
«Stando a queste cifre sembrerebbe di sì. Ma viene da chiedersi: si comportano abbastanza bene o nel campo sportivo c’è un disinteresse per la deontologia? Non è facile fare giornalismo sportivo e essere completamente distaccati. Faccio un esempio: un giornalista che segue il Sassuolo, fino a qualche anno fa scriveva sulla serie C, adesso scrive sulla serie A. Quando viene promossa la squadra, viene promosso anche il giornalista, che passa dalla serie C alla serie A. Diciamo la verità, tutti i giornalisti sportivi sono un po’ tifosi. Basterebbe soltanto essere deontologicamente corretti anche nel fare il tifo, nascondendo professionalmente il tifo. Comunque, non abbiamo procedimenti disciplinari, non ci sono. Nel 40 per cento delle trasmissioni televisive si vedono dei litigi, ma non abbiamo mai visto un giornalista sospendere la trasmissione, allontanare il facinoroso, scusarsi con i telespettatori, come è previsto dal Codice media-sport. Le regole deontologiche non vengono applicate, anche se ci sono trasmissioni televisive dove si esagera. Se all’Agcom venissero fatte delle segnalazioni, l’Agcom dovrebbe intervenire dando sanzioni anche pesanti alle tv, sia private che pubbliche. Ma il Codice media-sport non è applicato. Ritengo che un’altra faccenda importante sulla quale bisognerebbe intervenire sia quella degli addetti stampa. È inconcepibile che un capo ufficio stampa di una società sportiva, di un sodalizio sportivo, imponga ai colleghi il silenzio stampa. Non è ammissibile».
Ma gli addetti stampa sono giornalisti e quindi comportamenti del genere dovrebbero essere sanzionati.
«Gli addetti stampa dovrebbero essere giornalisti, perché la Legge 150 non è valida soltanto per la pubblica amministrazione, dovrebbe valere per tutti. Comunque, l’80 per cento degli addetti stampa sono giornalisti iscritti all’Ordine e quindi devono rispettare la deontologia come la rispettano tutti. Non è possibile che un addetto stampa vieti a un giornalista di partecipare a una conferenza stampa o di entrare allo stadio. C’è una violazione deontologica a 360 gradi, che non riguarda soltanto lo sport ma tutta l’informazione. Se una società sportiva ritiene che un giornalista abbia infranto qualche regola, che non abbia rispettato le norme deontologiche, può fare un esposto al Consiglio di disciplina dell’Ordine, ma non può impedirgli di svolgere la propria professione».
L’articolo 12 del Testo unico (Doveri in tema di informazione sportiva) si declina in tre punti. Il primo riprende in parte il punto 7 del Decalogo del giornalista sportivo, il secondo e il terzo recuperano completamente i punti 6 e 9 dello stesso Decalogo. Per quanto riguarda lo sport, dunque, più che di sintesi si tratta della ripresa integrale di parti essenziali. Ritiene che questo faciliti il compito dei Consigli di disciplina?
«Sì, migliora la vita del consigliere di disciplina che può andare a vedere direttamente quale norma sia stata violata. Cinque o sei punti del Decalogo potevano anche non essere scritti perché ribadiscono principi deontologici che non riguardano soltanto il giornalista sportivo, ma tutta la stampa. Comunque, nonostante i tanti problemi della nostra categoria, la deontologia del giornalista funziona meglio di quella di altre categorie. I dati a livello nazionale evidenziano che in Italia contro 100 giornalisti che sono sottoposti a procedimento disciplinare ci sono solo 20 avvocati o 15 commercialisti. Inoltre, nella parte introduttiva del Testo Unico ci sono dei principi fondamentali (assenti nelle singole Carte) che possono dare ulteriore impulso positivo alla deontologia professionale. Il Testo Unico è importantissimo, speriamo si possa continuare su questa via».
Certo, l’informazione sta attraversando un momento difficile. Quali ritiene siano le criticità maggiori?
«Aspettiamo questa benedetta riforma, vediamo cosa accadrà. C’è un’agitazione pesante perché qualcuno chiede l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti ma non è un qualcuno qualsiasi: sono i direttori dei giornali a chiederla. Come iscritto sono nettamente contrario alla soppressione dell’Odg, perché non avere un Ordine che fa rispettare anche se in minima parte la deontologia e il contorno della professione significherebbe andare a ruota libera. L’articolo 21 della Costituzione protegge tutti, tutti possono scrivere. Però non è vero che tutti possono fare i giornalisti. Specialmente in questo momento in cui la tecnologia è talmente evoluta che dopo un minuto una notizia viene data in 100 modi diversi, da 100 fonti diverse, che non sono certamente le fonti della verità ma fonti pseudo professionali. L’informazione è data in pasto un po’ a tutti, ma dovrebbe essere lasciata ai giornalisti».
Allora, che fare?
«Più possiamo vantare una specificità deontologica all’esterno e più torneremo a essere credibili. Diciamo la verità, noi giornalisti negli ultimi anni abbiamo perso in credibilità a non finire. Nel momento in cui dimostreremo che come Ordine sappiamo, non dico giudicare, ma esaminare attentamente l’andamento della professione e lo sviluppo della notizia entro i termini deontologici, allora torneremo a essere credibili».
Ritiene che su questa situazione incida la precarietà professionale di molti giornalisti?
«Non ci sono dubbi. È uno sfruttamento veramente pazzesco. Devo riconoscere il grande impegno del presidente dell’Odg Enzo Iacopino sulla questione dei precari. Purtroppo, ci sono giornalisti che vengono sfruttati, dal punto di vista professionale e finanziario, e poi sbattuti fuori a pedate».
Franca Silvestri
(11 luglio 2016)