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Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Il Consigliere dell’OdG Lorenzo Sani sollecita la coscienza dei giornalisti e commenta le linee guida dell’Oms

«I suicidi non si danno». È una delle prime cose che ho imparato quando ho incominciato a fare il giornalista, all’inizio degli anni Ottanta. Di norma non dovrebbero finire in pagina. Almeno, una volta era così. La ragione è intuitiva e ha a che vedere più con la coscienza di chi è chiamato ad informare che con la deontologia: i suicidi sono “contagiosi”, è scientificamente provato, creano emulazione, non solo nei casi in cui a fare notizia siano personaggi famosi.
In questa estate due persone hanno scelto lo stesso modo di farla finita, a distanza di due giorni l’uno dall’altra, lanciandosi dalla ruota panoramica a Rimini e a Genova.

Un giornalista responsabile dovrebbe sapere che mai come in questi casi la parola scritta possa indurre ferite profonde e amplificare la tensione autolesionista nei soggetti più deboli. Invece, nella stagione dell’informazione spettacolarizzata e gridata, si passa sopra tutto per un like, o una copia di giornale in più.
Oggi, 10 settembre, ricorre la giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, istituita per la prima volta a Stoccolma nel 2003 e riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ha redatto precise linee guida per i media, proprio riconoscendo il ruolo decisivo che hanno nel trattare un tema così delicato nei termini più corretti. Leggendo le cronache di questi tempi sembra che ogni parametro etico sia saltato: il suicidio viene trattato come un qualsiasi delitto, o fatto di cronaca nera, si indugia sui particolari, si azzardano ipotesi riduttive e superficiali sulle cause che possano averlo innescato, senza pensare che il clamore eccessivo e la ridondanza perfino morbosa, in alcune circostanze, possa risultare letale per chi ha maggiori fragilità. Lo sostengono gli studi scientifici pubblicati dall’Oms, ricerche condotte in tutto il mondo. E da almeno vent’anni lo stesso organismo chiede ai media di trattare la materia con le dovute cautele, quando non si può proprio fare a meno di rendere pubblica la notizia di un gesto tanto intimo e personale.
Il suicidio è un grave problema di salute pubblica, con conseguenze sociali, emotive ed economiche di vasta portata. Ci sono circa un milione di suicidi all’anno in tutto il mondo e venti milioni di persone lo tentano. I fattori che contribuiscono al suicidio sono complessi e non completamente compresi, ma vi sono evidenze condivise nella letteratura scientifica che i media possano avere un ruolo significativo, perché gli individui vulnerabili possono essere influenzati e indotti a compiere comportamenti imitativi in seguito a segnalazioni di suicidio, in particolare se la copertura è ampia, rilevante, sensazionalista e descrive esplicitamente il metodo del suicidio.
Sono state condotte oltre cinquanta indagini su suicidi imitativi. Le revisioni sistematiche di questi studi hanno costantemente tratto la stessa conclusione: i resoconti dei suicidi sui media possono portare a comportamenti suicidari imitativi.
Lo sostiene anche un lavoro molto importante del Dipartimento di salute mentale di Trieste, in cui si sottolinea anche quanto i fattori che portano al suicidio siano molteplici e complessi e non debbano essere riportati in modo semplicistico, perché il suicidio non è mai il risultato di un singolo fattore, o evento. La malattia mentale è un forte elemento predittivo di suicidio. Oltre all’impulsività, che gioca un ruolo importante. Disturbi da uso di sostanze e disturbi mentali come la depressione possono influenzare la capacità di una persona di far fronte a vari fattori di stress della vita e ai conflitti interpersonali. Quasi sempre è fuorviante attribuire il suicidio a un singolo evento come il fallimento di un esame, di una relazione, o per le problematiche in ambito lavorativo, soprattutto quando la morte non è stata ancora completamente indagata. Quante volte abbiamo letto articoli che non leggerezza parlano di “probabile suicidio”, trascurando la complessità dell’atto, il suo impatto devastante per i familiari e gli amici, spesso lasciati alla ricerca di cause, a interrogarsi su segnali premonitori non colti, o addirittura vittime dello stigma.
Negli ultimi 45 anni i tassi di suicidio sono aumentati del 60% nel mondo. Siamo di fronte a un fenomeno globale senza distinzione di età, perché in alcuni paesi è più frequente tra i giovani, mentre in altri, tra le persone di età superiore ai 70 anni. Le linee guida che l’Oms dà ai giornalisti sono estremamente chiare, riassunte in un vero e proprio decalogo. Eccolo, a futura memoria:
1) Cogli la possibilità di educare il pubblico sul suicidio
2) Evita un linguaggio che sensazionalizzi o normalizzi il suicidio, o che lo presenti come una soluzione ai problemi
3) Evita il posizionamento in evidenza e la ripetizione indebita di storie di suicidio
4) Evita una descrizione esplicita del metodo utilizzato in un suicidio completato o tentato
5) Evita di fornire informazioni dettagliate sul sito di un suicidio completato o tentato
6) Usa le parole del titolo con cautela e attenzione
7) Esercita cautela nell’utilizzo di fotografie o riprese video
8) Presta particolare attenzione nel segnalare suicidi di celebrità
9) Mostra la giusta considerazione per le persone che hanno commesso suicidio
10) Fornisci informazioni su dove cercare aiuto.
Lorenzo Sani
Consigliere dell’Ordine dei giornalisti Emilia-Romagna
(10 settembre 2019)