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Addio Gianfranco Civolani: “il Civ”, sommo sacerdote dello sport bolognese

Sono rimasti in pochi, dopo la scomparsa di Gianfranco Civolani, quei giornalisti di una volta, capaci di alzare la cornetta di un telefono e dettare a memoria diverse cartelle di articolo, come se la mente avesse fotografato l’evento e loro, fedelmente, lo riproducevano, commentandolo.

Gianfranco Civolani aveva 84 anni. Era malato da tempo, ma fino all’ultimo non ha perso lo spirito che lo ha sempre contraddistinto. Il Bologna, in occasione del match di campionato a Reggio Emilia contro il Sassuolo, ha messo il lutto al braccio. Per i bolognesi Civolani era diventato infatti comunemente “il Civ”: assonanza con il Cid campeador, incarnava il campione degli opinionisti sul tema a lui caro del Bologna calcio.
Giornalista d’altri tempi, dicevamo. Giornalista a tutto tondo, mestiere che ha visceralmente amato e onorato, perché lo appassionava.
La memoria porta assai prima di questi ultimi venti anni trascorsi da guitto nei salotti televisivi, ritagliandosi il ruolo di Censore Maximo delle vicende sportive della città che non ha mai voluto abbandonare, rinunciando forse, ai tempi di Tuttosport a una carriera dirigenziale all’interno del suo giornale.
La credibilità della sua critica sportiva, talvolta aspra, veniva dal suo carattere vulcanico e dalla una riconosciuta lealtà, dall’amore cristallino per le squadre bolognesi (eccezion fatta di una, la Fortitudo).
Dunque “il Civ” da giornalista e commentatore era diventato un autentico sommo sacerdote, lui che era ateo, del commento sportivo. Al punto da diventare dogma. Quante volte ci siamo trovati a contestare la tesi di un tifoso (“scusi, ma perché dice che è così?”) sentendoci rispondere: “Perchè l’ha detto il Civ”.
Credibilità conquistata, quella di Civolani, in modo scomodo: dicendo sempre quello che pensava, senza sconti, senza timore di sbagliare. Laureato in legge, cresciuto a pane, Olivetti e impaginazione a piombo. Ragazzo di bottega, squattrinato, che faceva qualche soldo cantando in francese, con una certa conoscenza della materia, avendo poi lavorato come impresario al teatro La Ribalta. Ne dette prova anche al teatro delle Celebrazioni stracolmo, nel 1999, per festeggiare i 90 anni del Bologna Fc davanti a quasi tutti i ragazzi dello scudetto 63-64, chiamato ad aprire la serata cantando “Le foglie morte”.
Pezzo interpretato magistralmente, quasi fosse… Mariolino Corso.
In un articolo recente, celebrò anche le sue punizioni, di ragazzino che giocava a pallone, mancino all’ala sinistra, paragonandosi a Verdi che col Crotone aveva segnato due volte su punizione, una di sinistro e una di destro. Un altro sarebbe stato mandato a quel paese… ma lui no: perchè era il Civ.

Ci sarebbero tanti aneddoti per raccontarne l’originalità, la spigolosità, i colpi di genio: c’è chi si è citato come il più amato da lui, indicandolo come suo maestro di vita e di professione. Ricordiamo solo minuscoli bigliettini dove annotava tutto come fossero una stele di Rosetta.
Se n’è andato di domenica, una domenica uggiosa, dopo una sconfitta della sua squadra del cuore, e come tale amata e a volte strigliata, con l’Inter, non poteva lasciarci dopo una vittoria. Di domenica, come è giusto, visto le migliaia di domeniche che ha sacrificato sull’altare della sua immensa passione sportiva, vissuta da giornalista eccellente, come inviato e opinionista prima della tv e anche come dirigente sportivo, perché Civolani è stato un vero Mecenate dello sport al femminile, nel softball e nel basket; e al maschile nel baseball fino al 1963.
Se avesse tenuto in tasca tutti i denari spesi per le “sue ragazze”, sarebbe stato miliardario.
Dopo Lucio Dalla nella musica, Alberto Bucci nel basket, Giacomo Bulgarelli nel calcio, Bologna perde un altro dei suoi ambasciatori più emblematici. Gianfranco Civolani nel giornalismo sportivo.
Mi perdonerà se gli rubo la chiosa, scontata come un rigore a porta vuota.
State benone.
Diego Costa
(6 novembre 2019)