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AIRF: un’associazione che vuole raccontare la realtà in modo etico rispettando la gente. Un nuovo sportello legale per tutelare i fotogiornalisti dal furto di immagini

Roberto Piccinini è presidente dell’Associazione Italiana Reporter Fotografi (AIRF). È fotografo professionista e giornalista pubblicista. Fa parte dell’AIRF dai primi anni ’80, ha ricoperto vari ruoli nel Consiglio direttivo dell’associazione (pubbliche relazioni, segretario, tesoriere) per poi raccogliere l’eredità di Mario Rebeschini e assumerne la presidenza.
Parla con orgoglio del suo gruppo: “oggi i fotogiornalisti sono più seri e acculturati di un tempo, i giovani sono quasi tutti laureati e il 25-30 per cento dei soci AIRF è iscritto anche all’Ordine dei giornalisti”. L’ultima importante novità dell’associazione è la nascita di uno sportello legale dedicato ai fotogiornalisti per contrastare la crescente tendenza al furto di immagini.

Quanti soci ha l’AIRF?
«In questo momento ha poco più di 200 soci, tutti fotografi professionisti o collaboratori di agenzie. L’AIRF ha una storia molto particolare: è nata nei primissimi anni ’60 e raggruppava i fotografi di varie regioni d’Italia. Ogni gruppo regionale costituiva una sorta di filiale dell’AIRF, ma non esisteva una vera e propria associazione nazionale. Poi il nostro gruppo ha registrato il marchio e preso il dominio alla Camera di commercio come associazione italiana. Adesso la maggior parte dei nostri iscritti non sono bolognesi: abbiamo circa 180 soci professionisti sparsi per l’Italia e solamente una trentina di Bologna. Siamo diventati nazionali. Per rilasciare la tessera dell’AIRF facciamo una selezione molto rigida, al pari dell’Ordine dei giornalisti. Un fotografo può fare anche fotografia commerciale, ci mancherebbe, però per iscriversi all’AIRF deve dimostrare che svolge attività fotogiornalistica per editori, testate giornalistiche, siti internet registrati. Insomma, deve fornire una documentazione che comprovi che fa fotogiornalismo e giustifichi il rilascio di una tessera che possa aiutarlo nello svolgimento del suo lavoro. Se non è fotogiornalista, la tessera non gli serve».


L’AIRF è riconosciuta anche dall’Ordine dei giornalisti.

«Sì è l’unica associazione di reporter e fotografi riconosciuta dall’Odg. Diversi anni fa, abbiamo realizzato un convegno sul fotogiornalismo al quale abbiamo invitato anche il presidente nazionale e il presidente regionale dell’Odg. Da lì è cominciata una collaborazione con l’Ordine dei giornalisti che ci ha chiesto di tenere seminari di formazione (validi per la Fpc con crediti deontologici). Insieme a Pasquale Spinelli abbiamo creato un corso sulle problematiche del fotogiornalismo. La prima volta è stato fatto a Bologna e ha avuto un successo talmente grande che è stato richiesto in tutta Italia. Abbiamo fatto 4 corsi in Sardegna, 2 in Puglia, 5 nelle Marche, 2 nel Veneto, 4 in Emilia-Romagna. Abbiamo parlato a oltre 1.500 colleghi giornalisti e fotogiornalisti. E ancora non siamo riusciti a soddisfare tutte le richieste. Purtroppo tra i colleghi, sia fotogiornalisti che giornalisti scriventi, c’è molta disinformazione sull’utilizzo delle immagini. Rispetto a Internet, Google, Twitter, Facebook c’è pochissima preparazione. Ai corsi abbiamo cercato di spiegare cosa si può fare e cosa non si deve fare. E capendo quanta disinformazione c’è tra le persone che fanno questo mestiere ci è venuta l’idea di creare anche una tutela legale per i fotogiornalisti». (news a questo link)


Ecco, parliamo dello sportello legale. L’avvocato che se ne occupa è una giornalista pubblicista.

«Con l’avvocato abbiamo lavorato insieme per una testata giornalistica. E in occasione di questi corsi per l’Ordine dei giornalisti abbiamo cominciato a parlare dello sportello legale, soprattutto a fronte della grande disinformazione che c’è tra i colleghi, perché adesso tutti usano le foto ma nessuno sa che rischia. Io ho un archivio molto importante e ho fatto cause importanti per l’utilizzo di immagini, con direttori che si stupivano che io chiedessi un risarcimento danni perché avevano trovato le foto su Google, attraverso un motore di ricerca. Allora a Rossella Di Costanzo, che di mestiere fa l’avvocato però è giornalista pubblicista e tuttora scrive, ho raccontato quanto è emerso dai corsi tenuti per l’Odg e le ho chiesto se voleva aiutarci a realizzare uno sportello legale dedicato alla tutela delle immagini. A lei è piaciuta tantissimo l’idea, soprattutto perché ritiene che la tutela del copyright, la violazione del diritto di immagine, Facebook i social network, siano questioni che nei prossimi anni esploderanno ancora di più. Abbiamo passato almeno sette-otto mesi a scambiarci mail, commenti, considerazioni e abbiamo ideato questa tutela legale per i fotogiornalisti che vuole essere soprattutto un deterrente per l’utilizzo abusivo delle immagini. Detta altrimenti, questo accordo non è nato per fare causa a chi utilizza le immagini, sì potrà capitare, ma principalmente per far capire a tutti che il fotogiornalista di mestiere fa questo e, se una sua fotografia va in Rete (anche se ce l’ha messa lui), nessuno ha il diritto di prenderla e utilizzarla, senza chiederlo. Poi c’è anche un discorso economico, ma viene dopo. La cosa più avvilente e che la foto venga utilizzata senza essere chiesta. È un furto fatto con destrezza, perché il fotografo spesso non viene neanche a sapere che la sua foto è stata utilizzata».


E magari contestualizzata in modo diverso da come è nata
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«Entri in un discorso profondo. Molti colleghi non si rendono neppure conto che quando un fotografo scatta una foto ha un’idea di quell’immagine. Il rapporto giornalista scrivente-fotografo era molto più diretto in passato: il direttore o il caporedattore, spesso, chiedevano il parere del fotografo prima di pubblicare una sua foto. Adesso, ci sono altri ritmi nelle redazioni: arriva tutto online, le notizie si prendono in Internet, il giornalista scrivente non sa neanche la verità perché quello che gli arriva nel computer lo dà per buono, la foto che gli arriva sul computer non sa chi l’ha scattata e neppure cosa sia accaduto in realtà in quel momento. Conosco i ritmi delle redazioni di oggi, sono veramente difficili, quindi mi sento di giustificare il giornalista scrivente. Purtroppo, la qualità in Italia, giornalisticamente parlando, è veramente bassa, per tanti motivi. Quindi, si fa quello che si può, non si può incolpare nessuno in particolare».

Torniamo alla tutela legale.
«Con l’avvocato Rossella Di Costanzo abbiamo predisposto una tutela legale per gli iscritti AIRF che non esiste in nessun’altra associazione di categoria. I nostri associati, oltre alle varie lettere prestampate che l’avvocato ha creato per mandare un avvertimento in caso di utilizzo di immagini senza richiesta, possono addirittura disporre di una prima lettera dell’avvocato, che costerebbe 200-300 euro ma per i nostri soci è gratuita».


Lo sportello legale AIRF è nato perché la situazione è difficile, pesante, scoraggiante?

«Sì, devo dire che nonostante i corsi di aggiornamento che abbiamo tenuto, proprio per cercare di portare la cultura fotografica a un livello più alto (e, quando si parla di cultura fotografica, si parla anche di considerazione, di rispetto per il fotografo), non abbiamo ottenuto grandissimi riscontri. Probabilmente c’è un 10 per cento di colleghi più attenti, ma la massa (che è assolutamente tanta, Comuni compresi che utilizzano fotografie prese dal web senza chiederlo) continua ad agire in maniera sconsiderata. Quindi, abbiamo pensato che avere una tutela legale a conoscenza di tutti possa diventare un deterrente. Speriamo in questo».


Oltre alla grande disinformazione rispetto a Internet, motori di ricerca, social network, ora sta prendendo piede anche il concetto di post-verità che mette l’informazione a confronto con le idee di “bufala”, mistificazione, falsificazione. Cosa puoi dire a proposito del fotogiornalismo?

«Un certo tipo di immagini non bisognerebbe realizzarle, perché l’immagine è trainante, è la prima cosa che salta all’occhio. Adesso girano tante immagini orrende, distorte su qualsiasi tipo di media: quotidiani, grandi mensili, settimanali, web. Certe foto propongono cose che non esistono nella realtà ma sono costruite ad hoc per attirare l’attenzione. L’errore viene dal fotografo che si presta a queste richieste. Il problema ormai è identico sia per il giornalista scrivente che per il fotografo. Se ti viene fatta una richiesta che non è deontologicamente corretta, dovresti dire di no. Purtroppo però ci sono persone che scrivono o fotografano (anche gratis) e non sono neppure iscritte all’Ordine o non sono fotografi professionisti».

Il livello etico si è abbassato?
«Francamente, devo dire di sì. Noi abbiamo cercato di alzarlo, lo facciamo con i nostri associati, proviamo a farlo nei corsi di formazione. È una questione principalmente etica: bisogna avere una morale interna e sapere come trattare una notizia. Parte da noi. Dire di no a volte è un bene, io credo che sia anche un bene economico, perché non si perde un guadagno, anzi si acquista più valore e ci saranno guadagni futuri diversi. Purtroppo è un po’ il problema di tutti adesso, nel giornalismo globale. Poi con questi siti Internet dove non si sa chi scrive e cosa scrive, dove esce di tutto e le notizie non si sa da dove arrivino. Capire se una notizia è vera o falsa è davvero complicato».

Tanto la fotografia quanto le notizie giornalistiche dovrebbero cercare di dare alle persone un’idea della realtà, dovrebbero preoccuparsi di quello che arriva alla gente.
«Hai detto una cosa bellissima. Noi siamo responsabili di quello che arriva alla gente. Quindi, prima di pubblicare una notizia o una foto, bisognerebbe porsi questa domanda. Una foto non cambia la vita del fotografo, ma può cambiare quella di chi la vede o di chi è stato ritratto. È un tema molto delicato. E lì entra in gioco la morale interna che ognuno di noi ha, cioè porsi delle domande per gli altri. Ma in quanti si pongono domande. È il singolo giornalista, il singolo fotografo che deve farlo».

Franca Silvestri

(7 febbraio 2017)