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Notificato l’avviso di fine indagini per il fallimento del quotidiano La Voce di Romagna. Ipotizzato dagli inquirenti un intreccio di azioni da parte della proprietà che hanno creato grave danno ai lavoratori. La difesa: “Si chiarirà che tutto è stato fatto in buona fede”

Riceviamo dal collega Paolo Facciotto, già componente del Comitato di redazione della “Voce di Romagna”, e volentieri pubblichiamo.

Bancarotta fraudolenta aggravata da danno patrimoniale di rilevante gravità, in concorso fra più persone. Malversazione ai danni dello Stato. False comunicazioni sociali. Omesso versamento di ritenute. Sono i reati che il sostituto procuratore di Rimini, dottor Luca Bertuzzi, contesta – con profili diversificati – al quartetto composto dall’ex editore della “Voce” Gianni Celli, suo figlio Camillo, il nipote Gabriele Domeniconi e il giornalista Raimondo Baldoni. Lo si apprende dall’avviso di fine indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.

Le accuse, rese note recentemente dalla stampa locale, pesano come macigni sull’epilogo della storia del quotidiano “La Voce di Romagna” (1998/2017): nell’indagine durata tre anni e mezzo gli inquirenti hanno ricostruito una girandola di comportamenti fraudolenti, passaggi di soldi e di appartamenti da far venire il mal di testa.

Riepilogando in estrema sintesi e per punti:
• denari contanti per 3,4 milioni di euro distratti dai conti correnti della “Voce” a sette srl e coop edilizie amministrate di fatto o di diritto da Celli, fra provincia di Rimini e Repubblica di San Marino;
• 2,8 milioni di euro appostati nei bilanci come crediti, fra il 2012 e il 2015, ma inesistenti, non veritieri e quindi causa di dissesto societario in danno dei creditori;
• 3,8 milioni di euro incassati dal Dipartimento Editoria di palazzo Chigi, fra marzo 2012 e luglio 2013, trasferiti in una banca marchigiana a rimborso di anticipi che Celli aveva trasferito in precedenza a cinque delle sue società «senza alcuna giustificazione economica e contabile»;
• annotazioni di incrementi di valore e di crediti per 1,8-2,2 milioni di euro nei bilanci della società di un hotel a Riccione, «per simulare valori positivi patrimoniali fittizi», dal 2004 fino al fallimento nel 2014;
• pagamenti in prelazione per 2,4 milioni di euro, fra il 2010 e il 2014, in modo da favorire alcuni creditori (lo stesso Celli, due commercialisti, quattro società immobiliari) e danneggiando gli altri;
• omessi versamenti di ritenute, come sostituto d’imposta, per poco meno di 400mila euro nel 2014.

C’è poi una strana storia di passaggi di appartamenti da raccontare.
Una delle società riconducibili a Celli costruì un monumentale edificio, destinato in gran parte alla clinica privata “Nuova Ricerca”. Dopo circa dieci anni rimasero invenduti oltre trenta vani di uffici al terzo e quarto piano dello stabile.
I due piani di uffici vennero ceduti da Celli, il 30 dicembre 2014, a due srl – un «mero schermo giuridico», affermano gli inquirenti – intestate agli altri due indagati, Baldoni e Domeniconi. Una cessione non onerosa, ma a fronte dell’accollo del residuo di un mutuo (però, a quanto si sa, non pagato).
Attenzione alle date: la cessione avviene – con una mossa nascosta che verrà scoperta solo molti mesi dopo – in un periodo fra i più critici per la “Voce”, quando la redazione torna a far leva sulla minaccia degli scioperi, visto che i giornalisti sono arrivati ormai a tredici mensilità non pagate.
Mentre i redattori soffrivano, privati di ogni diritto e senza soldi in tasca, l’immobile venne messo nelle mani dell’allora direttore del quotidiano. Quello stesso Baldoni che – per fatti precedenti a questo – ha meritato la sospensione dall’Ordine dei giornalisti perché «non ha osservato i doveri dello spirito di collaborazione fissati dall’art. 2 della legge professionale e dalla Carta dei doveri, privilegiando invece la tutela degli interessi e della figura dell’editore» (citiamo dalla delibera con cui il Consiglio di Disciplina Nazionale confermò quanto stabilito in primo grado dal Collegio di disciplina n.3 regionale).
Poche settimane dopo il misterioso passaggio di appartamenti, “Editrice La Voce” chiese al tribunale il concordato in bianco, prendendo in tal modo con una sola fava più piccioni e cioè:
• il blocco dei pignoramenti da parte dei giornalisti e degli altri creditori;
• la continuità aziendale quindi la prosecuzione degli incassi dalla vendita del giornale e della pubblicità;
• alcuni mesi di tempo per perfezionare il passaggio del quotidiano ad una nuova srl intestata ai figli di Celli.
Una richiesta di concordato che in realtà non aveva contenuti, perché fu la società stessa a non presentare il piano concordatario alla scadenza prevista. Al proposito ha sentenziato il Tribunale del Riesame di Bologna: «il Gip evidenzia condotte recidivanti di bancarotta in relazione all’affitto del ramo d’azienda».

Tornando al passaggio di proprietà degli uffici – strano perché «privo di alcuna ragione economica, se non quella di sottrarre il patrimonio alla procedura fallimentare» – ora abbiamo la conferma che i tre protagonisti sono finiti nel mirino della procura di Rimini per concorso nella distrazione del patrimonio della società costruttrice: infatti l’azienda edile è poi anch’essa fallita con un consistente debito nei confronti della editrice del quotidiano.

La procura, dicevamo sopra, ha inviato alle difese l’avviso di fine indagini, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Ma questo è solo il primo troncone di inchiesta: restano infatti da chiarire i motivi e le responsabilità degli altri fallimenti, susseguitisi a catena, di società riconducibili a Celli e ai suoi sodali, in tutto una decina fra Rimini e San Marino. Il passivo ammonterebbe provvisoriamente a circa 32 milioni di euro. E dire che il gruppo, grazie all’attività editoriale e ai giornalisti negli ultimi anni costretti a lavorare gratis, ha incassato oltre 20 milioni di euro di contributi statali dal 2002 in avanti.

Abbiamo chiesto ai difensori di fiducia di Celli e degli altri indagati una dichiarazione a commento dell’avviso di fine indagini. Ci ha risposto l’Avvocato Alessandro Catrani del Foro di Rimini: “Trattasi di vicenda societaria complessa che io ed il Professor Mazzacuva stiamo analizzando nei suoi molteplici aspetti. Restiamo convinti che il processo farà piena chiarezza su ogni aspetto. Resta confermato ciò che sempre abbiamo dichiarato: Gianni Celli non si è appropriato di alcuna somma a titolo personale. Tutto si è svolto, casomai, fra società infragruppo, in un tentativo, di assoluta buona fede, di gestione complessiva delle plurime questioni economiche facenti capo all’imprenditore per salvarle da una situazione di malaugurata, sopraggiunta, crisi. Infine emergerà in tutta la sua interezza la patologia del sistema dei contributi per l’editoria, modificatosi in itinere in peius, così determinando incertezza e danni economici per il mondo della stampa ed in particolare per La Voce”.

Saranno i processi a rispondere. Sta di fatto che, ad oggi, l’ex editore riminese ha già rimediato una condanna in primo grado a un anno e tre mesi di reclusione per omesso versamento di ritenute dovute o certificate; ha trascorso alcuni mesi ai domiciliari, misura cautelare presa dal gip e confermata dal riesame, nell’ambito della “Operazione UnderTone” del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza che portò fra l’altro al sequestro di beni immobili e conti correnti per l’equivalente di 9 milioni di euro; ha collezionato due condanne per comportamento antisindacale e licenziamento discriminatorio-ritorsivo, più una recente condanna in appello per una illegittima limitazione temporale di un contratto di lavoro. Ma, a parte i procedimenti giudiziari ed i singoli casi, quel che è peggio è che la vicenda ha messo la parola fine ad un giornale che si era conquistato un suo spazio di mercato ed aveva dato lavoro a decine di professionisti, collaboratori e fotoreporter tra Rimini, Ravenna e Imola.

Ora sono proprio giornalisti, grafici, fotografi, agenti pubblicitari, oltre che gli istituti di categoria, ad attendere giustizia. Una sessantina di persone hanno maturato crediti da lavoro per 2,8 milioni; Inpgi, Casagit e Fondo Pensione Complementare per 2,3 milioni. Somme che ci auguriamo tornino, almeno in parte, nelle tasche dei legittimi proprietari. Anche se non potranno cancellare le ferite della «allucinante trafila di inganni e intimidazioni inflitti alla redazione», come affermò in difesa dei colleghi un comunicato di solidarietà del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.

Paolo Facciotto
(2 dicembre 2018)

LISTA DEI LINK DI DOCUMENTAZIONE

Delibera Consiglio di Disciplina Nazionale: http://www.odg.it/wp-content/uploads/2018/06/Massimario_2016.pdf

Delibera Collegio di disciplina n.3: https://odg.bo.it/provvedimenti-disciplinari/

Licenziamento ritorsivo: https://odg.bo.it/blog/solidarieta-collega-de-voce-romagna/

Arresti domiciliari: http://www.aser.bo.it/la-voce-di-romagna-leditore-celli-agli-arresti-per-malversazione/

Comunicato CNOG: http://old.odg.it/content/la-voce-di-romagna-giornalisti-senza-stipendio-n%C3%A9-diritti