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I diritti sono il nostro orizzonte. L’informazione è fondamentale, ma è necessario distinguere la satira da cronaca e critica

Gabriele Bordoni è avvocato penalista, ma pure oratore suadente e raffinato comunicatore.
In varie occasioni ha analizzato i complessi rapporti fra diritti, responsabilità e informazione.

Può fare un parallelo fra diritto tout court e diritto all’informazione, senza dimenticare gli eventuali intrecci con la Costituzione?
«È inutile nascondersi dietro a infingimenti o astrazioni, bisogna guardare alla concretezza. In questo paese, il diritto – e in particolare il diritto penale – risulta efficace soltanto negli interventi cautelari della magistratura e nel momento in cui l’informazione va a sensibilizzare la gente rispetto a ciò che avviene. E allora, non si tratta soltanto di leggere le derive di un processo. Il processo è l’occasione in cui esce la sentenza e quella verità che tutti dobbiamo rispettare. Ma durante il procedimento, quando qualcuno è arrestato e rispetto al quale ci sono solo degli indizi (che possono essere anche sufficienti per metterlo in carcere, ma non sono sufficienti per affermarne la responsabilità), il parallelo che viene consegnato all’informazione deve entrare a fare parte di questo processo. Cioè, bisogna essere consapevoli che non si tratta di un’informazione che riporta notizie che hanno già trovato una consacrazione in un ambito processuale di contraddittorio, ma di un’informazione che striscia parallela a una via di formazione di un procedimento, che è ancora molto lontano da approdare a una sentenza. Ci sono casi che devono essere salvaguardati col massimo della fermezza, nei quali poi le verità processuali divengono diverse, perché quello che sembrava nel contradditorio non è più».

I giornalisti devono essere più attenti e responsabili?
«L’informazione deve essere più consapevole di fare parte di questa formazione, perché evidentemente è una punizione severissima essere etichettati anticipatamente di una responsabilità. Così, sei punito non soltanto attraverso l’ordinanza che ti mette in carcere, ma anche attraverso una diffusione di stampa che ti assicura come colpevole molto prima che intervenga la sentenza. Sono guasti irreparabili. Allora, un’informazione matura, che abbia consapevolezza di questo, sa che deve essere più attenta ai contorni di come propala le notizie. In primo luogo, eliminando tutto quello che non c’entra, il chiacchiericcio esterno che non c’entra nulla col processo. È necessario abbandonare quelle derive nelle quali l’indagato viene raggiunto da tutta una serie di critiche per il suo modo di essere, per il suo passato, per il suo modo di atteggiarsi. Queste sono cose che ledono la persona senza avere nulla a che fare con l’oggetto del procedimento. E poi bisogna rendersi conto che vi sono delle contrapposizioni fra l’accusa e la difesa che devono ancora trovare uno sfogo definitivo. E allora occorre essere molto attenti, bilanciare le diverse impostazioni che ci possono essere da una parte ma anche dall’altra, non lasciare il difensore relegato in un angolo a rappresentare in maniera sterile un’innocenza alla quale nessuno anticipatamente vuole credere. Bisogna mettere a confronto i dati oggettivi e cercare di rendersi conto che soltanto così si possono informare le persone in maniera regolare, corretta e consapevole. Perché la trasposizione dell’informazione ha una ricaduta diretta sulla libertà e sulla reputazione di una persona».


E quando arriva la “vera” sentenza?

«Probabilmente nessuno ha interesse a leggerla perché “la sentenza” è già stata fatta dagli organi di informazione, da quello che hanno detto e scritto anticipatamente. Insomma, giornali, tv, radio e gli altri media hanno il dovere assoluto di informare: un paese non va avanti senza informazione. Ma l’informazione deve essere più consapevole del ruolo preponderante che ha acquisito rispetto al momento formativo di ogni procedimento penale».

A proposito di libertà di espressione e libertà di stampa, cosa può dire rispetto a tre diritti: diritto di cronaca, diritto di critica, diritto di satira?
«Sono sacrosanti tutti e tre. Il diritto di satira forse è quello che sa essere più incisivo in certi momenti perché pone alla berlina certi comportamenti e ha una sua componente storica, culturale, si sa che ha una certa efficacia. Però il diritto di satira va tenuto attentamente distinto dai diritti di critica e di cronaca. Perché la critica e la cronaca devono essere tecnicamente molto attrezzate, molto qualificate, vere, reali, capaci di dare un’informazione selettiva. Mentre il diritto di satira è qualcosa di più e di diverso: si può permettere di largheggiare prendendola in ridere. Ma troppo spesso si avverte una “confusione di ruoli”, per cui all’interno della satira vengono trasmessi dei messaggi che diventano di critica e di cronaca, che vengono creduti di più della critica e della cronaca giornalistiche tecnicamente attrezzate. E questo, ovviamente, porta a un volano di inconsapevolezza generale, di deresponsabilizzazione. Si va al generalismo, al qualunquismo, al nichilismo. È un grande male per un paese che vuole recuperare un po’di quella cultura ormai quasi completamente dispersa».

Franca Silvestri

(29 novembre 2015)