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Enzo Biagi viene ricordato come grande giornalista, autore di reportage, romanziere ma non come critico televisivo, invece la critica tv con lui diventa un caso. Invoca un modello di televisione diverso: i telegiornali devono raccontare la realtà, tutta, bella o brutta. Avrebbe saputo fare i conti anche con le nuove tecnologie, la tv parcellizzata, il web e i social imperanti

Giandomenico Crapis è medico ma è anche esperto di storia della televisione. Coltiva questa passione da molti anni, con curiosità e accuratezza, quasi come un secondo lavoro. Dalle sue ricerche fra materiali e memorie del piccolo schermo è emerso un capitolo poco noto della storia professionale di Enzo Biagi: frammenti curiosi, pungenti, importanti di critica tv pubblicati nel volume antologico Enzo Biagi – Lezioni di televisione (Rai Eri). Ne abbiamo parlato con Crapis nel decimo anniversario della scomparsa del celebre e amato giornalista.

Lei è autore di un volume singolare, che raccoglie diverse critiche televisive scritte da Enzo Biagi su Epoca.
«È un libro uscito alcuni mesi fa che mette in luce un aspetto inedito della sua attività. Biagi è ricordato come grande giornalista della tv, direttore del telegiornale, autore di reportage, romanziere, però quando era direttore di Epoca, negli anni ’50, per quattro anni ha fatto il critico televisivo. Quindi, si è occupato di televisione prima di farla. Come direttore di Epoca, poteva delegare ad altre figure, magari a critici cinematografici o teatrali, invece ha voluto occuparsene in prima persona. Ha creato una rubrica sulla televisione e ogni settimana o quasi ha scritto di tutti i programmi tv, da Lascia o raddoppia al Musichiere, ha parlato di personaggi, sceneggiati, informazione, varietà, non ha tralasciato nulla».

Che tipo di critica faceva?
«Sostanzialmente, Biagi ha inventato la critica televisiva. Forse non è stato il primo a occuparsi di tv con una rubrica settimanale, però dico che l’ha inventa perché con lui la critica tv diventa un caso. Biagi suscita reazioni, suscita polemiche con i personaggi televisivi. Il primo grande caso nato dallo scontro fra critica tv e televisione riguarda Rascel, che alla fine del ’56, al sabato sera fa un programma intitolato Rascel La nuit. Biagi lo critica dalle colonne di Epoca nelle sue noterelle televisive dicendo: “Caro Rascel, ci ricordiamo di lei quando faceva l’avanspettacolo. Son passati vent’anni, il mondo è cambiato, ma lei fa le stesse gag che faceva allora”. Rascel ci rimane male, naturalmente, ma soprattutto non accetta la liceità della critica. E durante l’ultima puntata della trasmissione interviene dal vivo, se la prende con Biagi attaccandolo: “Chi è questo Biagi? Cosa ha fatto in questi vent’anni?”. L’attore fa un uso personale del video e viene sanzionato dai dirigenti della Rai, che poi si scusano con Biagi. Ma è importante perché è il primo caso di critica televisiva che fuoriesce dalla carta stampata e fa parlare di sé. Poi succede anche con Walter Chiari, Alessandro Cutolo e altri personaggi della televisione. Biagi rimprovera persino Totò perché in una puntata del Musichiere inneggia ad Achille Lauro, il leader del Partito Monarchico. Siamo nel ’58, è tempo di elezioni e gli dice: “Caro Totò lei in televisione non può gridare né viva Lauro, né viva Nenni, né viva Togliatti. Son cose che non si addicono al comico Totò, magari al principe De Curtis sì, ma il principe De Curtis lo sentiamo fuori dagli schermi tv e non in televisione”. Questo tesoretto di note televisive, che sono centinaia, era sostanzialmente passato inosservato nella biografia professionale di Biagi».

Come ha fatto a scoprirlo?
«L’ho scoperto perché mi occupo di storia della televisione da parecchio tempo e, facendo ricerche sulla tv di quegli anni, ho visto questi testi di Biagi. Ne ho visto uno, un altro, un altro ancora, mi sono incuriosito e ho cercato di capire se c’era una continuità o se erano cose sporadiche. La continuità c’è eccome. Tanto è vero che dal ’56 fino ai primi mesi del ’60 Biagi scrive con assiduità, soprattutto tra il ’56 e il ’58 fa critiche quasi ogni settimana dei programmi televisivi».

Poi si interrompe?
«No, dirada le critiche, anche perché un po’ si stanca, teme di diventare ripetitivo, lui stesso afferma: “ma ho detto già tutto”. Però prosegue fino a luglio del ’60, quando entra in rotta di collisione con l’editore di Epoca per un editoriale sui fatti di Reggio Emilia. E quindi, finisce per lasciare il giornale e fare altro. In questa miniera di note televisive c’è tutto Biagi, c’è la sua filosofia, c’è il suo modo di pensare l’informazione. Ci sono dei passaggi veramente illuminanti sul giornalismo, su come va fatta la tv, sulla necessità della televisione, soprattutto dei telegiornali che devono raccontare la realtà, tutta, bella o brutta. Biagi tiene molto a questo, dice: “Basta con questi telegiornali ingessati, che sono tagli di nastro, cerimonie e congressi. La gente vuole la realtà. Facciamo un telegiornale per le persone, non per i politici, per gli addetti ai lavori. Non facciamo vedere solo le sagre, ma anche qualche caso giudiziario, la cronaca nera, la cronaca bianca, la cronaca rosa”».

Enzo Biagi degli anni successivi probabilmente è figlio anche di questa esperienza.
«Sì. Quando nel ’61 diventa direttore del telegiornale, fa esattamente quello che aveva teorizzato come critico televisivo: smonta un telegiornale ingessato, molto ossequioso, filogovernativo e ne fa un telegiornale che racconta la realtà, bella o brutta. In una delle sue critiche, Biagi dice una frase molto significativa: “Bisogna raccontarla tutta la realtà, anche quella brutta. Perché non si può raccontare la figura di Gesù senza raccontare quella di Giuda”. In queste note che ho antologizzato c’è il preannuncio di quello che poi sarà come giornalista e uomo di televisione. Biagi capisce che la tv deve raccontare le cose in diretta. Quando Montanelli realizza un programma di incontri con personaggi famosi, tra cui Mario Soldati e Giovannino Guareschi, ed è un programma registrato, gli dice: “Caro Montanelli tu sei bravo, però la registrazione né a te né a Soldati fa bene, perché sembrate imbalsamati dietro al video. È bene che un programma così vada in diretta, a botta calda e quel che succede succede”. Quindi, comprende perfettamente come deve funzionare il formato televisivo. E poi è moderno anche nell’invocare il calcio e la boxe in televisione, dice: “Ma fateci vedere qualche partita di calcio. Il ciclocross o le regate del Tigullio vanno bene, però noi vorremmo vedere il calcio”. È in sintonia con i gusti della gente. Senza snobismi, senza puzze sotto il naso capisce che il mezzo televisivo è assolutamente popolare e quindi pensa che la tv si debba aprire anche agli sport popolari come la boxe e il calcio. Addirittura dice: “Guardate, non ci interessa che la Rai mandi Milan-Inter, a noi basta anche Atalanta-Parma a farci contenti”. Ecco, Biagi non è il critico tv che si occupa delle trasmissioni di cultura alta e magari parla di televisione per parlare d’altro, come succede a molti critici televisivi dell’epoca. O come succede ad Achille Campanile (bravissimo), che utilizza la tv come un pre-testo per fare benissimo il mestiere che sa fare, cioè scrivere, satireggiare. Biagi invece fa le critiche puntuali, nel merito, a tutti programmi e invoca una televisione che sia diversa dal modello che viene offerto agli italiani negli anni ’50. Nelle sue note televisive c’è anche uno spaccato del Paese, della realtà italiana di quegli anni. Sono belle anche per questo».

Con la televisione di oggi, Internet e i cosiddetti nuovi media come pensa si troverebbe Enzo Biagi?
«Biagi ha fatto televisione fino ai primi anni 2000, quindi la tv era già cambiata tantissimo. È stato sempre capace di entrare in sintonia con la modernità, non si è mai spaventato rispetto alle novità anche tecnologiche, ci ha fatto sempre i conti. Sicuramente avrebbe saputo come fare i conti anche con la tv odierna, che non è più quella di trent’anni fa. Quando Biagi conduceva Il Fatto la tv era già cambiata parecchio, il formato della sua trasmissione era innovativo. La striscia di cinque minuti di approfondimento non l’ha inventata lui, però sicuramente gli ha dato maggiore dignità e continuità. Dico che non l’ha inventata perché penso anche alla Cartolina di Andrea Barbato, i cinque minuti che faceva prima o in coda al Tg3, alla fine degli anni ’80 e degli anni ’90. A Radio Londra di Giuliano Ferrara. Però i cinque minuti di Biagi (Il Fatto, in onda dal ’95 al 2002) sono rimasti nella storia della radio-televisione. Non a caso, nel 2004 Il Fatto è stato premiato come il più bel programma dei cinquant’anni di storia della tv, tra l’altro un anno dopo che Biagi era stato colpito dall’Editto Bulgaro e cacciato dalla televisione. Quindi, Enzo Biagi i conti con la tv degli anni 2000 li ha fatti, ma li avrebbe sicuramente saputi fare anche oggi con le nuove tecnologie, la tv parcellizzata, il web e i social imperanti».

Franca Silvestri

(16 novembre 2017)