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Etica e deontologia professionale. Italia-Bielorussia: un confronto importante

Anatolij Guljaev è un giornalista indipendente di Minsk. Fa parte dell’Associazione Giornalisti Media indipendenti Bielorussia (Baj) e presiede la commissione etica della sua associazione. È pure membro dell’European Federation of Journalists (Efj) e docente all’European Humanities University di Vilnius dove tiene corsi sull’etica professionale e l’inchiesta giornalistica. È autore del volume L’etica professionale del giornalista (a breve in uscita anche in Italia).

Questa conversazione si è svolta a margine del seminario di formazione L’etica professionale del giornalista: confronto tra Italia ed ex Urss, organizzato dall’Ordine Giornalisti dell’Emilia-Romagna. L’incontro, introdotto e commentato dal presidente dell’Odg Antonio Farnè, ha intrecciato le interessanti relazioni di Francesco Privitera (docente di Storia dell’Europa orientale) sulla situazione politico-mediatica dei paesi dell’ex Unione Sovietica e dello stesso Anatolij Guljaev, che ha analizzato la situazione del giornalismo nell’ex Urss, il rapporto fra media e politica, le regole deontologiche sottolineando le differenze fra Europa orientale e occidentale. Fondamentale è stata la traduzione russo-italiano della collega Patrizia Romagnoli.

In Italia esiste l’Ordine dei Giornalisti, il nostro Albo professionale, nel suo paese ritengo di no.
«No, non esiste. In Bielorussia ci sono due associazioni tra giornalisti: Bsj, che unisce la stampa dei giornali statali (circa 1.500 “onesti”), e Baj, che tiene insieme i colleghi dei giornali non statali (oltre 1.200 “disonesti”). Ogni associazione ha una propria lista e una commissione o un comitato che vigila sull’etica. Ci sono anche giornalisti che non rientrano né nell’una né nell’altra lista».

Comunque svolgono la professione?
«Lo possono fare se hanno una sorta di certificazione da parte dei media per cui lavorano. Un giornale o una televisione deve testimoniare e certificare che il giornalista svolge attività per quella specifica testata».

Come giudica il fatto che in Italia ci sia un Ordine dei Giornalisti?
«Ritengo che un organismo che unisce tutti i giornalisti esistenti sia cosa buona. Perché i giornalisti nella loro consociazione devono difendersi l’uno con l’altro: insieme si difendono. C’è sempre qualcosa che alla stampa non piace e quando ne parla corre dei rischi: ad esempio, quando i nostri giornalisti raccontano gli scandali di Berlusconi con qualche ragazza o quando qualcuno scrive male del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko. È difficile passare in mezzo alle cose, tra il buono e il cattivo, insomma. Per questo l’esistenza di un unione tra i giornalisti è importante».

Condivido l’affermazione che i giornalisti debbano difendersi, proteggersi e sostenersi fra loro. In Italia, il nostro Ordine professionale è nato proprio come organo di autogoverno della categoria e dagli anni ’90 a oggi sono state scritte tante carte deontologiche. Nel suo paese come funziona? Ci sono codici etici?
«Ognuna delle due associazioni di giornalisti ha un proprio codice etico, ma sono molto simili tra loro».

Quando un giornalista contravviene a questi codici etici cosa succede?
«Chi vede l’infrazione scrive una dichiarazione, una denuncia a una delle due associazioni di giornalisti, che la esamina e assume una decisione. La punizione peggiore che può capitare al contravventore del codice è di essere cacciato via dall’unione di cui fa parte».

È un provvedimento simile alla nostra radiazione dall’Albo.
«Esatto, è una sorta di radiazione dall’albo. Ma, da quando esistono le “commissioni per l’etica”, questo non è mai successo».

C’è qualcosa che ritiene particolarmente importante sul fronte dell’etica professionale?
«A proposito dell’autoregolamentazione dei giornalisti, in Bielorussia siamo soltanto all’inizio del cammino. Siamo rimasti indietro di cent’anni rispetto al resto d’Europa e all’Italia, che comunque l’autoregolamentazione se l’è data. La prima legge al mondo sulla libertà di stampa è apparsa in Svezia nel 1766, in Bielorussia il primo codice etico è comparso solo nel 1995».


Dal 1995 sono trascorsi vent’anni, non sono pochi. Mi colpisce che da quando esistono questi organismi che vigilano sull’etica nessun collega abbia avuto comportamenti professionali particolarmente scorretti o comunque che non sia stato punito fino alla radiazione.

«La situazione è complicata perché c’è una forte pressione dei poteri sui giornalisti e sui media non statali. Dunque, le “commissioni per l’etica” non vogliono rafforzare questa pressione sollevando dei casi. È sufficiente dichiarare che un certo articolo ha infranto l’etica per suscitare la generale riprovazione della categoria e piano piano anche della società civile».

Franca Silvestri

ph G.L.

(25 settembre 2015)