Fiol d’un asen. Commento di Claudio Santini, presidente del Cdt regionale, dopo il presidio del 13 novembre davanti alla Prefettura di Bologna contro gli insulti alla libera stampa
Sono state principalmente due le sollecitazioni che mi hanno indotto a partecipare al presidio – davanti alla Prefettura di Bologna – a sostegno della libertà di stampa, ultimamente sottoposta ad attacchi anche forsennati in particolare dalla forza governativa dei Cinquestelle. La prima è di natura professionale per valutare (come presidente del Consiglio di disciplina territoriale) la fondatezza o meno delle feroci critiche alla sola ipotesi di procedimenti deontologici nei confronti del giornalista professionista Rocco Casalino e del pubblicista Luigi Di Maio. La seconda è invece legata alla mia età anagrafica che mi permette di testimoniare sul tempo di soppressione della libertà di stampa, durante il Fascismo, e su quello, poi, di riconquista della libertà di opinione che apre l’articolo 21 della Costituzione.
Ma andiamo con ordine partendo dell’ipotesi (perché a questa fase siamo) dei procedimenti disciplinari a Casalino e Di Maio.
Entrambi si sono liberamente iscritti all’Ordine (il primo a quello della Lombardia, il secondo a quello della Campania) pur non essendo obbligati a far questo per poter liberamente scrivere, anzi con una scelta rafforzata per Casalino essendo lui portavoce del Presidente del Consiglio e non addetto stampa (il che lo avrebbe invece “costretto” a diventare giornalista come obbliga la Legge 150 del 2000).
Così, se liberamente hanno scelto di stare nell’Ordine devono rispettare le regole deontologiche di governo dell’ente di diritto pubblico che impongono, in un caso, la condotta leale (che non si riscontra nella dichiarazione “Se non ci danno i finanziamenti per il reddito di cittadinanza passeremo il 2019 a fare vendette nei confronti dei funzionari del Ministero delle Finanze”) e nel principio di colleganza fra giornalisti (non compatibile con “pennivendoli, sciacalli e puttane” per aver fatto soffrire la sindaca Raggi con accuse non ritenute reato dal Tribunale).
Nessuno scandalo dunque per quello che la legge impone all’Ordine di fare nei confronti dei giornalisti iscrittisi liberamente all’Ordine stesso (e liberi anche di cancellarsi).
E passiamo allo stimolo storico che mi fa riflettere sul prima e sul dopo la proclamazione della libertà di opinione: vietata dal Fascismo e sancita invece nel primo comma dell’articolo 21 della Costituzione italiana. Fino al 1943-45 i giornalisti sono stati “servi del Regime”, invece dal 4947-48 sono diventati liberi di pensare e di scrivere le loro opinioni senza obblighi di autorizzazioni e il pericolo di censure. Una bella differenza! E opportuno dunque è il richiamo del presidente Mattarella al fatto che ogni mattina legge prima di tutto i commenti di coloro che non la pensano come lui.
A proposito di Mattarella mi è sembrata opportuna la sua scelta di difendere la libertà di stampa in un incontro con un gruppo di studenti ospiti al Quirinale: primo perché è educativo invitare i giovani a seguire quei retti principi, che oggi purtroppo sono negletti; secondo perché, presumibilmente, si è adeguato all’età mentale di coloro che oggi contrastano la libertà di stampa, con quella caparbietà tipicamente adolescenziale che non sopporta le critiche soprattutto quando sono fondate. Anche se è una condotta che mostra il rischio di far precipitare tutto nel ridicolo.
Volete due esempi?
L’affermazione sui giornalisti “sciacalli e puttane” mi ha ricordato una scenetta della vecchia trasmissione comica regionale con il Cinno e suo Padre che, quando intendeva offenderlo, lo bollava con l’epiteto bolognese di “fiol d’un asen” cioè figlio di un somaro. Dunque se il Cinno era “fiol d’un asen” il somaro vero era il padre… Così, quando l’esponente pentastellato lancia parole di disprezzo verso i giornalisti gli si potrebbe facilmente rispondere: e tu cosa sei? Un giornalista: dunque Fiol d’un asen.
Ancora: la minaccia di Vito Crimi (sottosegretario M5S con delega all’Editoria) di redigere una legge che “punisca” gli editori induce i giornalisti a schierarsi a favore dei “padroni dei giornali”, che sono sì le cooperative di colleghi che hanno rilevato le testate in crisi ma anche gli sfruttatori della Fieg che pagano i redattori meno dei raccoglitori di pomodori in Puglia.
Siamo quasi “alla comica” che potrebbe indurre al ripristino del vecchio slogan Una risata vi seppellirà.
Ma c’è poco da ridere. Occorre invece reagire, soprattutto di fronte soprattutto al pericolo dell’indifferenza che rischia di attanagliare diversi colleghi, che ieri non si sono fatti vedere al presidio davanti alla Prefettura di Bologna. “Ma che tutela della libertà di stampa – possono aver pensato – dal momento che sostanzialmente si può ancora scrivere (moderatamente ndr) quello che si vuole”. Si, ma attenzione: teniamo infatti presente quello che è successo nel 1938 in Italia quando sono state emanate le Leggi Razziali: molti si sono mostrati indifferenti per poi rendersi conto del pericolo della shoh cinque anni dopo, nel 1943, quando fu impossibile impedire la svolta nazi-fascista con le deportazioni e gli stermini di massa. Paragone eccessivo? Forse sì, ma ugualmente opportuno per indurci a fare prima quello che poi non potremmo più fare.
Manifestiamo dunque a favore della libertà di opinione e di stampa finché ci è consentito farlo considerando anche che ancora possiamo trovare alleati: nel Presidente della Repubblica, ad esempio, che ha dimostrato di stare con noi o nel Presidenti del Senato e della Camera (pur 5 Stelle) e nell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Il tempo dei mutamenti di fronte si annuncia però vicino: il movimento 5 Stelle ha finora usato un medium di sostegno (la piattaforma Rousseau) che si è mostrato inefficace nel “fare opinione”. È però ormai prossimo a “prendere in mano” la Rai (con la presidenza Foa) e già si scorgono i primo effetti. Domenica scorsa, ad esempio, c’è stata un’apertura verso i 5 Stelle da parte di Che tempo che fa (finora generosa di peana solo ai cattolici e ai Pd). È comparso infatti Rocco Casalino il quale si è impegnato nella sua autodifesa per la frase “i down mi fanno schifo”, pronunciata a suo dire nella simulazione di una falsa intervista a un corso di giornalismo (“Una frase nella quale comunque non mi riconosco e per la quale chiedo scusa”). E vai… e siamo solo all’inizio; pensate a cosa succederà quando tutti saranno pronti a “correre in soccorso del vincitore”, cioè del partito che nominerà (assieme alla Lega) i giornalisti che siederanno ai posti di comando.
Ultime annotazioni al 14 novembre 2018, cioè alla data nella quale scrivo queste riflessioni. Chi mi spiega perché esiste il possibile e probabile conflitto di interessi dell’editore di Repubblica e non quello di Casaleggio e della sua Piattaforma Rousseau? Inoltre, potrò mai entrare nella lista dei “giornalisti bravi e buoni” redatta da Di Battista sul suo profilo facebook? Gli interrogativi mi angosciano e lo stato di agitazione si calma parzialmente solo quando leggo la considerazione di Luigi Di Maio (pur non condividendo il suo pensiero) e cioè che chi oggi grida allo scandalo per l’ attentato al diritto costituzionale della libertà di opinione, non ricorda l’editto bulgaro contro Enzo Biagi.
Claudio Santini
Presidente Consiglio di disciplina territoriale Odg Emilia-Romagna
(14 novembre 2018)