
Gianni Flamini, un esempio di come fare giornalismo
Si è spento il collega Gianni Flamini. Pubblichiamo il ricordo di Aldo Balzanelli (condirettore cB) apparso su Cantiere Bologna.
Un professionista che ha saputo raccontare la strategia della tensione e il golpe strisciante che ha caratterizzato la politica italiana, anticipando di decenni quanto è emerso recentemente nelle sentenze sulla strage del 2 agosto
Se n’è andato, passati i 90 anni, con discrezione, come aveva vissuto. Ho saputo della scomparsa di Gianni Flamini da un essenziale necrologio della famiglia su Repubblica e Corriere. “A esequie avvenute”. E figuriamoci. Me lo immagino a dire, col suo tono fintamente burbero, non voglio gente al funerale che chiacchiera e non gliene importa niente del morto.
Chi era Gianni Flamini? Il papà giornalistico di tutti noi che in questi decenni ci siamo occupati di strategia della tensione, di terrorismo nero, delle tante porcherie che pezzi importanti dello Stato hanno compiuto per condizionare la politica nel nostro Paese.
Quando qualcosa non tornava, quando avevi bisogno di un riferimento storico, di collocare un nome in un contesto, chiedevi a lui e la risposta arrivava. Oppure consultavi i suoi libri, strumenti preziosissimi per orientarsi tra le tante sigle terroristiche o tra i personaggi dentro e fuori gli apparati statali. A cominciare da “Il partito del golpe”, un’opera in più volumi con un ricchissimo “Elenco dei nomi”, scorrendo il quale si incontrano tutti i protagonisti delle stagioni del terrore.
Gianni lavorava per l’Avvenire, quando il quotidiano cattolico era molto diverso da quello che è oggi. Aveva meno lettori, ma soprattutto era schierato su posizioni decisamente meno progressiste. L’autorevolezza di un giornalista che molte testate invidiavano però garantiva una solida tutela da sanzioni e censure. Anche se qualche problema in redazione, in tanti anni di professione, deve averlo avuto, perché non era scontato trattare quel genere di argomenti senza che qualcuno, ai piani alti, non fosse indispettito.
Il problema però, per i suoi detrattori, era che Flamini non esprimeva opinioni, o faceva congetture, ma metteva in fila i fatti. Uno dopo l’altro, per dimostrare come nella storia d’Italia abbia operato una «forza politica non solo di dimensioni nazionali la cui leadership è costituita da quella parte delle forze economiche e politiche che si sentono minacciate nei loro interessi da uno spostamento a sinistra della situazione italiana». Così aveva scritto nell’Avvertenza del “Partito del golpe”, anticipando di decenni quanto le sentenze sulle stragi di Brescia e del 2 agosto avrebbero certificato. Indicando anche (attenzione, siamo agli inizi degli anni Ottanta) come «il principale strumento operativo del partito del golpe… sia una organizzazione clandestina di sicurezza Nato che si ritiene istituita e funzionante anche in Italia in base agli accordi segreti stipulati con gli Stati Uniti nel quadro dell’Alleanza Atlantica». Non si conosceva ancora il nome di Gladio insomma, ma l’identikit era straordinariamente preciso.
Flamini è stato anche consulente dell’Associazione tra i famigliari delle vittime del 2 agosto. Paolo Bolognesi, il presidente dell’Associazione, ricorda che «fu lui all’inizio ad aprirci gli occhi sullo scenario che stava intorno alla strage. I racconti che ci faceva ci sembravano inverosimili tanto erano allarmanti, ma poi, poco alla volta, ci siamo resi conto che corrispondevano alla realtà».
Ci sono voluti 45 anni alla giustizia per affermare quello che Flamini aveva già capito e scritto decenni fa. Per questo è importante non dimenticarlo, indicando il suo lavoro, il suo metodo a chi comincia a impegnarsi in una professione che oggi più che mai ha tanto bisogno di “nuovi Gianni Flamini”.
Aldo Balzanelli
Link al testo originale pubblicato su cB. Link al sito di Cantiere Bologna.
(23 febbraio 2025)