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Il giornalista deve essere un narratore dell’attualità: oggettivo, responsabile e svincolato da qualunque potere

Un tema delicato, importante che riguarda da vicino il mondo dell’informazione. È l’inchiesta “Aemilia”, probabilmente la più importante inchiesta di mafia che si sia mai effettuata sul territorio dell’Emilia-Romagna e nel nord Italia.
Un’inchiesta sfociata nell’omonimo processo in corso a Bologna, che ha scoperchiato una situazione impressionante di torbidi, violenze, minacce, collusioni, complicità su un territorio che riteneva di essere immune da questo virus. Invece, si è scoperto nudo, vulnerabile rispetto alla penetrazione della criminalità organizzata.

In questa inchiesta sono stati coinvolti alcuni colleghi, “colpevoli” soltanto di aver svolto in maniera libera e coraggiosa il proprio mestiere, di avere raccontato, documentato, denunciato. E la denuncia non è solo un dovere di chi svolge la professione giornalistica, ma è il primo passo per sfuggire ai soprusi, alle intimidazioni.
Sabrina Pignedoli e Gabriele Franzini hanno garantito con coraggio un’informazione puntuale su quello che stava succedendo sul territorio dell’Emilia-Romagna e per questo sono finiti nel mirino della mafia: hanno subito minacce di fronte alle quali non si sono piegati, non hanno abbandonato la loro missione di giornalisti liberi e coraggiosi. Per questo Odg e Aser si sono costituiti parte civile al loro fianco nel processo “Aemilia”: un atto non formale, che vuole testimoniare in maniera forte, decisa, concreta il valore della legalità e della libertà di stampa.

Dall’esperienza di Sabrina Pignedoli è nato il libro Operazione Aemilia. Come una cosca di ‘ndrangheta si è insediata al Nord (presentato il 10 dicembre alla Libreria Coop Zanichelli di Bologna).
Sabrina Pignedoli ha solo 32 anni, ma ragiona con sagacia, con competenza professionale e tenta con tutte le sue forze di recuperare un po’ di quella cultura giornalistica che ormai fatica a farsi largo in un panorama di generale “degrado” mediatico, minacciato dalle pressioni di potentati di varia natura e dalla crescente precarietà professionale. Queste le parole della collega reggiana.

Quanto è importante la libera informazione per contrastare questi fenomeni e promuovere la cultura della legalità?
«Sicuramente è fondamentale per fare in modo che le persone conoscano la realtà che li circonda. Con i nostri articoli dovremmo cercare di interessare i lettori e far loro comprendere qual è il fenomeno (nel mio libro ho cercato di fare questo, di raccontare alcune storie emblematiche). Bisogna rendere accessibile una realtà che per la maggior parte dei i cittadini forse sarebbe un muro. L’informazione dovrebbe essere una scalinata per raggiungere gradualmente una conoscenza. Quindi, per i giornalisti è fondamentale cercare di approfondire e farlo in modo libero».

Cos’è per te la libertà di stampa?
«Non è scrivere quello che vuoi. Esistono dei vincoli, esiste il vincolo del rispetto delle persone di cui scrivi. È giusto essere oggettivi, il più possibile oggettivi, cioè raccontare quali sono i fatti e poi sarà il lettore a farsi un’opinione. Dunque, credo che la libertà non possa essere impedita dai potenti di turno. E la giustizia permette la libertà di stampa. Per cui, libertà e legalità sono fortemente correlate».


Mi colpisce quanto affermi a proposito della figura del giornalista e del suo compito di raccontare queste parti tragiche, negative della nostra attualità (e della nostra Storia). Non si dice molto di questo. Si parla sempre di coraggio, libertà di stampa, responsabilità, legalità, ma non si considera quasi mai il giornalista come narratore, che magari scrive libri ma soprattutto si occupa della cronaca quotidiana.

«Noi giornalisti, dobbiamo fare un po’ da ponte tra le cose che succedono – che a volte sono complicate, molto sfaccettate – e le persone che hanno poco tempo e magari leggono distrattamente fra i tanti impegni e i tanti interessi che hanno. Quindi, dobbiamo cercare di rendere la realtà nella sua complessità il più semplice possibile, il più accessibile possibile. A volte il giornalista scrive per se stesso, è un po’ autoreferenziale, oppure scrive per la fonte per dimostrare quanto è bravo o per il collega dell’altro giornale per dare il buco. In realtà, bisognerebbe scrivere solo per il lettore e per cercare di fare in modo che capisca. Questo dovrebbe essere il nostro compito, anche per recuperare quella cultura giornalistica che un po’ si è smarrita».

Franca Silvestri

ph G.L.

(15 dicembre 2015)