L’ ingiuria non è più reato
Sgarbi ha gioito e inneggiato alla “libertà di epiteto” e Grillo ha scorto un riconoscimento della linea politica “Vaffa”.
Diversi, però, si sono chiesti come da oggi ci si potrà difendere dagli aggressori – talora abitudinari – della nostra onorabilità: saremo forse in loro totale balìa?
Parliamo del provvedimento (decreto legislativo) che cancella – tra gli altri – il reato di ingiuria e lo trasforma in illecito civile sottoposto a sanzioni pecuniarie. È stato approvato il 15 gennaio 2016, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 gennaio ed entrerà in vigore il 6 febbraio prossimo.
Stabilisce la sanzione pecuniaria civile da 100 a 8mila euro per l’ipotesi semplice e da 200 a 12mila euro se l’offesa “consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa alla presenza di più persone”.
Comunque niente più intervento delle Procure e del giudice penale.
Chi vorrà tutelarsi dall’ingiuria dovrà intentare una causa civile fornendo la prova civilistica sia del fatto che del danno subito: “prova diabolica” perché nel processo civile il richiedente (l’attore) non è ammesso a testimoniare, come invece il querelante può fare nel processo penale, con la conseguenza della concreta procedibilità solo in presenza di “altre prove”.
In questo contesto sono giunte all’Ordine anche richieste di giornalisti per conoscere gli eventuali riflessi sulla professione.
La risposta è: “relativamente”, in quanto è noto che in questa sede il reato che si realizza non è l’ingiuria, ma la diffamazione, per la quale è in corso altro iter legislativo.
L’ingiuria, però, non uscirà definitivamente dalla prospettiva giudiziaria del giornalista in quanto potrà riguardare la sua attività privata, “nella comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, con scritti o disegni” come è specificato all’articolo 4 del decreto di depenalizzazione.
Con lo stesso provvedimento sono stati depenalizzati altri reati di interesse per i giornalisti, come le pubblicazioni oscene, che – fino agli anni ‘70 – avevano interessato i direttori, anche solo apparenti, di riviste “porno” (famoso il caso di Stefano Surace, direttore di le Ore): oggi si tratta di illecito amministrativo.
La trasformazione di svariati reati in illeciti amministrativi o civili ha un particolare interesse per la tanto invocata deflazione dei processi penali. Vedrà, inoltre, nuove entrate per le casse dello Stato.
Maria Grazia Tufariello
Avvocato penalista e docente ai corsi per giornalisti
(25 gennaio 2016)