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Quando è l’azienda a fare notizia. Un libro sul “brand journalism” di Mariagrazia Villa

La collega Mariagrazia Villa ha pubblicato un interessante libro su una novità nella professione giornalista che viene richiamata direttamente nel titolo del volume di 251 pagine #Brand Journalist. L’azienda fa notizia (FrancoAngeli – euro 24,00).

Pubblichiamo la prefazione del Presidente del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, Giovanni Rossi.

Un sottile crinale su cui lavorare
Questo libro è senz’altro una provocazione. Nel senso che ci mette di fronte ad una realtà in sviluppo e ad un problema: ci può essere giornalismo, vale a dire ricerca della verità ed autonomia di giudizio sui fatti, nonché correttezza deontologica quando il professionista è chiamato a valorizzare un’azienda? Come si gestisce la sottile linea rossa che esiste tra giornalismo e marketing? Il tema non è nuovo. Si è già posto quando nella categoria si è discusso del ruolo dei colleghi che svolgono funzioni di addetto stampa, sia nel privato sia nel pubblico: come possono essere “indipendenti” se il loro mandato è quello di rappresentare aziende e pubbliche amministrazioni? I colleghi più determinati nel negarne la dignità di giornalisti si sono spinti sempre a sostenere che si trattava di “PROPAGANDISTI”. La legge, almeno per il settore pubblico, ha chiarito che negli uffici stampa lavorano dei giornalisti con ciò determinando che quel ruolo è una specifica modalità di svolgere la professione. Anche se, bisogna dirlo, nella recente proposta di riforma di quelle norme, risalenti a 20 anni fa, si dice esplicitamente che la gestione e la promozione del “brand pubblico” va assegnata alla figura del comunicatore e non al giornalista.
Intendiamoci: il giornalista ha sempre un “padrone”. Quello dipendente perché è codificato dai contratti il suo rapporto di lavoro, quello autonomo in quanto per poter lavorare ha bisogno di un committente che, spesso, lo paga male e gli nega i diritti che deve riconoscere per contratto al dipendente. L’indipendenza nello svolgere il proprio lavoro il giornalista se la deve sempre e comunque conquistare richiamandosi al Testo Unico dei Doveri che è uguale per tutti, qualsiasi sia il settore del giornalismo in cui si lavora. Settore professionale e piattaforma tecnologica non fanno la differenza quanto ai principi a cui attenersi semmai trasformano il “mestiere più bello del mondo” in uno dei più complessi, almeno a volerlo svolgerlo correttamente.
Il giornalismo aziendale – così tradurrei il brand journalism – svolge un ruolo che può essere assai positivo per il pubblico: richiamare costantemente le stesse aziende alla correttezza ed alla continuità nella informazione dell’utente convincendole che questa è la strategia vincente. Soprattutto rispetto a quelle che si limitano alla pubblicità e che snobbano il ricorso ai professionisti dell’informazione. E non sono poche perché aziende e manager avvertiti in questo campo non sono poi così diffusi.
Mariagrazia Villa ci richiama ad approfondire questi problemi che ho necessariamente trattato in modo superficiale e quasi solo indicato e che, come se ci fosse ancora bisogno di sottolinearlo, rimandano alla urgenza di una riforma radicale della natura stessa dell’Ordine dei giornalisti che deve adeguarsi agli enormi cambiamenti della professione, delle tecnologie e del mercato del lavoro rispetto a quando la legge lo istituì nel 1963. Avendo chiaro, però, che la deontologia non può derogare dalla correttezza nei confronti delle persone, dalla ricerca della verità possibile e, quindi, dall’essere strumento di trasparenza.
Giovanni Rossi
Presidente del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna

(24 novembre 2020)