Un gruppo di lavoro per la revisione della deontologia. Riflessioni di Michele Partipilo sulle modifiche alla Carta di Treviso proposte dal precedente Cnog
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, su proposta del presidente Carlo Bartoli, ha costituito un gruppo di lavoro per avviare un percorso di revisione della deontologia dei giornalisti (Testo unico e Carte allegate). L’obiettivo è quello di rendere più snelli e sintetici i testi di riferimento e avere una maggiore efficacia in termini di applicazione. Obiettivo della revisione è anche quello di adeguare la deontologia al contesto attuale e recepire alcuni cambiamenti intervenuti nelle normative.
Nel corso del dibattito, che ha coinvolto anche i presidenti regionali, sono stati discussi i criteri generali cui dovrebbe ispirarsi il testo unico riformato, che dovrebbe essere anche lo strumento per recuperare un rapporto di fiducia tra cittadini e giornalisti. In particolare, è stato proposto che il nuovo testo unico preveda anche le sanzioni conseguenti alle diverse violazioni deontologiche, che ci sia una maggiore attenzione alla comunicazione attraverso i social, che si definiscano le modalità con cui il Cnog e i Consigli regionali possano a loro volta segnalare ai Consigli di disciplina delle violazioni deontologiche, almeno nei casi più eclatanti.
Sarà il gruppo di lavoro ad individuare un percorso per arrivare a una proposta di revisione.
Non si parte da zero: Il Testo unico dei doveri del giornalista, con i suoi allegati, fu già un’operazione di semplificazione. Su alcuni ambiti di revisione c’è già stata una discussione avanzata, ad esempio sulla Carta di Treviso, che disciplina i rapporti tra informazione e minorenni: nella scorsa consiliatura si era giunti all’approvazione di una proposta ma non fu definitivamente adottata. Il presidente Bartoli ha spiegato che anche per quest’ultima è necessaria una verifica, perché il Garante della Privacy ha indicato 12 punti sui quali suggerisce di intervenire sul testo adottato.
Michele Partipilo, giornalista ed esperto di deontologia, aveva fatto parte del gruppo di lavoro per modificare la Carta di Treviso. A lui abbiamo chiesto una riflessione sul perché fu avviata la revisione: «Il motivo – spiega – è stato sostanzialmente uno: la mutata realtà nel corso degli ultimi 15 anni. Il mondo è cambiato e un dodicenne di oggi non è certo paragonabile al suo coetaneo del 2006. I minorenni, grazie allo sviluppo tecnologico e al fatto di essere nativi digitali, hanno una straordinaria padronanza delle tecnologie e di quelle della comunicazione in particolare. Una bambina che magari non sa ancora scrivere bene il suo nome smanetta su uno smartphone meglio dei genitori. Tutto questo implica che il minorenne oggi giustamente reclami il suo spazio e la sua visibilità nella società. Se la logica della Carta di Treviso prima edizione era un po’ quella di “nascondere” il minorenne, oggi abbiamo provato a proteggerlo ugualmente, ma cercando di salvare il suo diritto a essere parte attiva della società. Il nostro lavoro è consistito nel cercare di organizzare e disciplinare quanto di fatto avveniva sotto i nostri occhi, con i minorenni – per esempio – che intervenivano in tv e sui giornali per dire la loro sulla Dad o sulla tutela dell’ambiente. Un lavoro paziente, soprattutto sulle parole».
Il gruppo di lavoro fu coordinato da Franco Elisei (attuale presidente OdG Marche) ed era composto da: Nadia Monetti del Cnog, Daniela Scano (rappresentante della Fnsi), Matteo Lancini (psicologo, esperto di problemi evolutivi e degli adolescenti), Francesco Micela (Presidente del Tribunale per i minorenni di Palermo). In qualità di osservatori, hanno parteciparono ai lavori anche i giornalisti Valentina Fiore ed Edoardo Poeta, rappresentanti dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
«È stato fatto innanzitutto un lavoro di “pulitura” del testo, che si presentava ripetitivo in più parti, poi una revisione sistematica con una Premessa che è stata sostituita da Principi, proprio per sottolinearne la spinta etica che danno all’articolato – continua Partipilo -. Dico subito che nella Carta non si parla più di “minori”, come se fossero soggetti inferiori, ma di “minorenni”, cioè persone alla stessa stregua di ventenni o di ottantenni. Poi, si è cercato di declinare la protezione rispetto all’età, come del resto fa l’ordinamento che suddivide per fasce d’età l’esercizio di alcuni diritti, come per esempio acconsentire alla pubblicazione della propria immagine. Fra l’altro non possiamo dimenticare che in questi anni sono entrate in vigore leggi che riconoscono al minorenne il diritto di esprimere il cosiddetto consenso digitale a 14 anni o di poter presentare istanza al Garante privacy per chiedere la rimozione di contenuti lesivi. Sono solo degli esempi di come si è evoluta la vita sociale e di come i minorenni ne siano sempre più parte attiva. Del resto era singolare concepire una esclusione pressoché totale da 0 a 18 anni e immaginare che gli adolescenti all’improvviso, al compimento del diciottesimo anno, uscissero da questa bolla protettiva».
Infine una riflessione più ampia sul tema della protezione dei minorenni e deontologia, sul ruolo delle famiglie, della società e dell’informazione: «Dalla cronaca nera al mondo scolastico, dall’agonismo allo spettacolo, i minorenni oggi sono sempre protagonisti sui media, direi senza particolari distinzioni fra giornali, tv o web. La Carta di Treviso può offrire una protezione rispetto all’interesse pubblico della società a conoscere, ma raramente potrà difendere il minorenne a 360 gradi. Faccio un esempio: oggi un ragazzino è in grado di accedere con facilità a siti porno o a siti con contenuti pericolosi. Nessuna Carta di Treviso potrà mai proteggerlo da questo, ci devono pensare i genitori. Molto può fare invece nella diffusione di notizie che li riguardano facendo in modo che sia rispettata la loro personalità e il loro diritto a crescere in armonia, senza interferire con lo sviluppo della giovane e talvolta fragile personalità. Poi, come sempre, spetta alla sensibilità del singolo giornalista trovare i modi migliori per non turbare bambini e adolescenti e allo stesso tempo non sacrificare eccessivamente il diritto di cronaca. I giornalisti italiani dovrebbero smettere di pensare le norme deontologiche come se fossero il codice penale, andando sempre alla ricerca del cavillo per aggirarle. Bisognerebbe concentrarsi di più sulla dimensione etica, cioè sui principi che animano la Carta. Se un giornalista li facesse suoi si saprebbe districare in ogni situazione, anche in quelle non codificate e delle quali in genere approfittiamo per fare quel che più ci aggrada».
Nella proposta si affronta anche un tema molto attuale, quello delle immagini dei minorenni. Con una impostazione chiara e netta. Parola a Partipilo: «L’intento del gruppo di lavoro è stato quello di elaborare norme più chiare e che andassero a coprire quelle zone grigie, territorio di scorribande mediatiche. Un elemento di grande chiarezza è stato introdotto eliminando la possibilità di pubblicare foto pixellate oppure voci contraffatte per tutelare l’anonimato. Soprattutto negli ultimi tempi erano diventati artifizi che sapevano di presa in giro, poiché molto spesso i volti erano riconoscibilissimi. Allora taglio netto: le immagini di un minorenne o si possono pubblicare oppure no. Stop. Del resto, da un punto di vista squisitamente giornalistico, che senso ha diffondere una foto o un filmato per poi rendere irriconoscibile il soggetto? Un’immagine si pubblica proprio perché tutti possano vederne il contenuto, non per nasconderlo».
(3 giugno 2022)