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Verità, giustizia, fraternità sono valori importanti. Per Vania De Luca è dovere di tutta la categoria proteggere i giornalisti più esposti nella ricerca della verità

Giornalista vaticanista di Rainews24 e presidente nazionale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana, Vania De Luca è la prima donna alla guida di UCSI. A Bologna, culla del sodalizio dei giornalisti cattolici, è intervenuta al convegno 1959-2019: l’UCSI tra passato e futuro della comunicazione con una relazione e un bilancio sui primi sessant’anni di attività dell’associazione. A margine dell’incontro (organizzato da UCSI Emilia-Romagna insieme a Ordine regionale dei Giornalisti e Fondazione OdG, il 30 ottobre in Curia) abbiamo raccolto questo contributo.

L’UCSI è nata nel 1959 e fra i suoi intenti c’era quello di “accrescere nell’opinione pubblica la stima per il giornalismo quale strumento di verità, giustizia e fraternità”. Che valore hanno oggi questi concetti, per la stampa cattolica e in generale per tutti i giornalisti?
«Nel 2019, a distanza di sessant’anni, il contesto è profondamente mutato, gli stessi termini “giornalismo” e “opinione pubblica” hanno significati molto diversi rispetto al passato, eppure quell’esigenza di verità, giustizia e fraternità rimane più forte che mai. La verità, per ogni giornalista, è innanzi tutto la verità dei fatti che deve raccontare. Tutti i giornalisti sanno che c’è una verità che li porta a cercare un prima, un dopo, una contestualizzazione delle vicende che narrano, un’interdipendenza tra fatti che sembrano slegati tra loro e invece una connessione ce l’hanno. Penso che la verità giornalistica si inscriva in quella verità più grande, con la V maiuscola, all’interno della quale tutto ha un senso, un orientamento. Non credo in un giornalismo cattolico, penso che il giornalismo e il giornalista non vogliano aggettivi, di nessun genere. Però c’è il cattolico che fa il giornalista e se un valore aggiunto può dare alla professione (nel senso del sale, del lievito, della luce) è proprio la ricerca di una verità più alta, all’interno della quale la verità della vita che viviamo si può inscrivere e può aprirsi un orizzonte di senso».

È così che la stampa cattolica potrebbe contribuire alla ridefinizione di una identità giornalistica? Hai affermato che i giornalisti valgono non solo per quello che scrivono ma anche per quello che sono.
«È l’elemento di credibilità. Anche se sei un giornalista televisivo dell’AllNews (come sono io) e quindi sei abituato all’esposizione della tua figura, della tua persona, non sei un attore. La credibilità di cui sei portatore si vede nella serietà del lavoro che svolgi ma anche attraverso la serietà e la coerenza della tua stessa persona. Chi ti è intorno ti conosce, a livello di colleghi, di contesto di vita, di pubblico. La verità di quello che ognuno è viene fuori. E quindi l’elemento di credibilità è proprio nel dire la verità, ma anche nel testimoniarla, nel ricercarla, a volte anche a rischio, perché oggi si è molto esposti. Per questo bisogna cercare di proteggere i giornalisti più impegnati nella ricerca della verità. Penso che sia un dovere storico di tutta la categoria».

I media e i giornalisti sono davvero l’anima della nostra cultura? Quali elementi si potrebbero mettere in gioco per creare nuovi modelli per tutta la categoria?
«I nuovi modelli li stiamo cercando. C’è un sistema che non regge più e lo sappiamo. Il sistema pensionistico e quello della formazione, ahimè, non reggono più. E anche il ruolo del giornalista come figura di mediazione non regge più, nel momento in cui la politica, disintermediando, parla direttamente al pubblico attraverso i social, facendo a meno dei giornalisti. Quando da una parte c’è una classe politica che rifiuta le domande e la mediazione dei giornalisti e dall’altra c’è una opinione pubblica o meglio le nuove opinioni pubbliche che in tutto questo non capiscono che si stanno privando di un elemento della democrazia e del senso critico che solo un giornalismo professionale può garantire, rischiamo pesantemente. Ma non come categoria giornalistica, rischiamo forte come Paese, come democrazia, perché corriamo il rischio di non avere più, non dico il controllo, ma quell’anello di libertà e di mediazione che il giornalismo ha storicamente avuto tra la rappresentanza politico-governativa e i cittadini, le persone. Lo vediamo anche nelle ondate politiche, come con facilità da una tornata elettorale all’altra si perdono punti e punti percentuali oppure si acquistano punti e punti percentuali. In questo momento c’è un’onda: un’opinione pubblica molto fluttuante e una disintermediazione che investe tante figure di rappresentanza. I cittadini sono disorientati. E la funzione giornalistica critica è un elemento importante della democrazia perché aiuta a maturare il voto libero».

Franca Silvestri
(5 novembre 2019)