È scomparso Vanni Ballestrazzi, fiero e stimato caporedattore del Carlino Ravenna. Presidente dell’OdG Emilia-Romagna negli anni ’70, è stato poi Consigliere nazionale dell’Ordine
Con Vanni Ballestrazzi se ne va un uomo d’altri tempi. E un giornalista, come non ce ne sono, forse, più. Di lui ricorderemo lo sguardo. Quello sguardo di un uomo fieramente del Novecento, autenticamente romagnolo e capace di tenerezza infinita per il mare, le donne, la cronaca e gli amici. In particolare, per l’amico di sempre, Raul Gardini, incontrato sui banchi delle elementari e, nonostante lo scorrere della grande storia – la Guerra Mondiale, il boom economico, i cambiamenti, la vita in genere -, mai lasciato, fino a quell’ultima telefonata del tycoon romagnolo all’amico d’infanzia, un attimo prima di morire. Una telefonata che Vanni “si sentiva addosso”, ancora a distanza di tanti anni, quasi 30, da quella maledetta sera del luglio 1993. Aveva promesso ad una amica di portarla a sentire Luciano Pavarotti, si era negato per tempo con lei, come era nel suo stile, e solo per quello – mi ha confidato molti anni dopo – non aveva preso la macchina per andare a Milano da Raul. “Ma avevo sentito dalla voce che qualcosa non andava”, diceva.
Vanni Ballestrazzi non è certo mai stato schivo, anzi, amava parlare, con un tocco di vanità, soprattutto degli anni magnifici accanto a Raul, degli anni del sogno, quegli anni nei quali Ravenna era, o almeno sembrava, al centro del mondo, gli anni del mito del Moro di Venezia, con i quali quel ravennate dal carattere un po’ burbero, come tutti i romagnoli, e sempre schietto, come tutti i romagnoli, aveva fatto diventare velisti gli italiani. Passione e fantasia, ma anche curiosità e ancoraggio alle proprie radici sono le caratteristiche che hanno sempre contraddistinto entrambi: Raul e Vanni. Due galantuomini, come diceva un altro ravennate indimenticabile, Sergio Zavoli.
D’altra parte, non si può scrivere di Vanni, senza scrivere Raul. Ballestrazzi era il giornalista di cronaca che ti aspetti, conosceva tutti e, come diceva lui, quel che più contava, tutti conoscevano lui, “perché i giornali non si leggono, si scrivono”. Con Attilio Monti, il suo editore, mantenne sempre un rapporto diretto, di amicizia e fiducia.Non erano tempi giocosi, ma si giocava, forse più di ora, con quel gusto un po’ antico per i rapporti sinceri e per i valori che ora sembrano dimenticati. Vanni Ballestrazzi era vicino al mondo laico e repubblicano e, come ha avuto modo di scrivere Antonio Patuelli, anche lui grande ravennate, “è stato un giornalista e un difensore civico”.
Caporedattore del Resto del Carlino di Ravenna, per tutti in città Vanni Ballestrazzi rimaneva, anche anni dopo il suo incarico, “il direttore”. Pare strano, a raccontarlo oggi, ma in provincia le cose vanno proprio così. Erano gli anni, quelli, nei quali se una cosa era scritta sul Carlino, allora era vera per davvero. Se la diceva Balestrazzi, poi, lo era sicuramente. C’è molto “patachismo” in questo, ma mai reducismo. Forse nemmeno Ballestrazzi ha mai saputo dove sono finiti i soldi della mega-tangente Enimont, di certo Vanni avrebbe potuto chiedere tutto a Raul Gardini, persino questo, ma non l’ha fatto mai. Perché fra galantuomini, fra amici fraterni si fa così. “Se ne è andato l’amico fraterno di nostro padre, presenza affettuosa e leale per noi e, soprattutto, testimone fedele e insostituibile della memoria di Raul. È una perdita insanabile, ci mancherà sempre”, scrivono Eleonora, Ivan e Maria Speranza, i figli di Raul Gardini e di Idina Ferruzzi, pochi minuti dopo aver appreso la notizia. Vanni Ballestrazzi di figli non ne ha mai avuti, ma quelli di Raul e Idina sono stati un po’ anche suoi. A 90 anni lascia due nipoti, figli di una sorella scomparsa anche lei.
Caporedattore del Resto del Carlino di Ravenna, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna nei suoi anni bolognesi al Carlino, quando nascevano le Regioni, a cavallo del 1975, e di conseguenza occorreva impostare le pagine regionali, Vanni Balestrazzi è stato un testimone fedele di questo mestiere, senza mai eccedere in smancerie o in autocelebrazione. Durante il sequestro Moro è stato uno dei pochi giornalisti ad avere un rapporto diretto con Benigno Zaccagnini, allora segretario della Democrazia Cristiana. Ballestrazzi era, forse a differenza di Federico Fellini, un giornalista che sapeva “oggettivare”, mentre il regista che ha fatto sognare il mondo non aveva pudore nel dire che “se si parla di Rimini non lo so fare”. Eppure, Vanni Balestrazzi è stato un giornalista romagnolo come e più di tutti, perché in fin dei conti è sempre partito per tornare. Mentre lo scrivo penso a Tino della Valle, suo predecessore al Carlino di Ravenna, Uber Dondini, suo erede, Beppe Errani, Max David, impareggiabile firma prima del Corriere della Sera, da ultimo del Resto del Carlino, al pari di forse solo di Luca Goldoni, Vittorio Monti e di Sergio Zavoli. Per questo, per Vanni valgono più ancora che per tutti questi padri nobili del nostro mestiere e del nostro Ordine, le parole di Sergio: “Ci chiedono perché torniamo. Torno perché ho intese feconde con la mia terra, perché in dialetto dico cose che durano tutta la vita”. Con Vanni se ne va un uomo per bene e un giornalista come, forse, non ce ne sono più.
Letizia Magnani
(9 dicembre 2022)