Addio Arturo Ciccarelli, giornalista amato e stimato con una grande passione per lo sport
Ci ha lasciato Arturo Ciccarelli. Io credo di averlo frequentato di più quando vestiva la tuta sportiva e le scarpette bullonate di calcio che tra le scrivanie dei giornali. Non solo perché il Resto del Carlino era al primo piano e Stadio-Corriere dello Sport al secondo. Ci si frequenta molto, professionalmente, se si è di testate differenti, se si viene mandati a fare un evento per i propri giornali. Con lui, curiosamente, pur essendo in ottimi rapporti, non è mai capitato.
Del giornalista aveva la curiosità, dello sportivo la passione. Sì, Arturo ha giocato a pallone fino agli ultimi giorni della sua vita, e non importa se le gambe non rispondevano più come in gioventù. Contava il rito, lo spogliatoio, quel senso di appartenenza che ne ha sempre fatto, perché nasceva anche in altri ambiti, un perfetto compagno di squadra.
Fosse stato per lui, io credo, li avrebbe provati tutti, gli sport di cui ha scritto. Tutti. Ma la passionaccia, quella che nella vita ne faceva un perfetto marito e padre di famiglia, era tutta rivolta al calcio. Non so se fosse vero, ma si dice avesse annotato tutti i gol che aveva segnato, giocando ala, cioè attaccante. Tutti, da quando era alle prima partite, disputate – io ricordo – al vecchio campo Savena, quando c’era il campo da undici, quando in mezzo al campo a dettare legge c’era il naso lungo come una salita – parafrasando Conte – di Gino Cappello.
Quante volte abbiamo giocato insieme! Al campo Savena – ridotto nelle dimensioni – ha continuato ad andare a giocare con i vecchi Draghi come Franchino Colomba (che poteva essere suo figlio, o quasi) ma anche con Andrea Mingardi e gli artisti. Fino agli ultimi tempi. Ricordo bene le discussioni con Fio Zanotti per un pallone che non gli aveva passato…
Se al giornale era il miglior compagno di scrivania possibile, non ricordo una parola malevola verso chicchessia, così era anche al di fuori della professione, appunto, nello sport. Spesso con l’inseparabile moglie, si soffermava a raccontare dell’America, dove aveva figli e nipoti. E questi erano i racconti che gli facevano luccicare gli occhi.
Inviato sportivo di periferia, senza offesa, ha seguito tanto il Cesena quanto la cadetteria, rispettava l’impegno delle squadre non di serie A che seguiva come fossero stati il Real Madrid. Con attenzione, con scrupolo, con passione. Affezionandosi. La critica da giornalista scrupoloso c’era, ma sembrava una pacca sulla spalla, così come dovrebbe essere – forse – vista la materia. Mossa solo nell’intento di poter migliorare.
Ha seguito a lungo il ciclismo, ricorda uno dei suoi compagni di banco, Giuliano Musi, con voce commossa, abbeverandosi alla fonte di straordinari “capitani”, come Ronchi, come Mioli, onorato di esserne il gregario, senza alzare la testa dal manubrio. Arturo era appassionato di tante altre discipline, chiedete per credere alla grande mezzofondista bolognese Donata Govoni. E naturalmente gli piacevano gli sport americani, che aveva frequentato quando attraversava il mondo per ritrovare parte della sua famiglia.
Un uomo tranquillo, un collega che sapeva fare il mestiere senza mai pestare i piedi a nessuno. Come dovrebbe sempre essere.
Un professionista che aveva a cuore le esigenze della categoria, tanto da provare a portarle avanti con diverse mansioni, all’interno del sindacato.
In quei luoghi dove si viveva più di quanto non si facesse nelle proprie famiglie, le redazioni, spesso e volentieri andavo in scena piccoli sketch, degni dell’antica goliardia universitaria. E così a Stadio, ricorda Musi, si seppe che Arturo aveva una paura tremenda dei cani. Ragion per cui, un giorno – approfittando dell’assenza temporanea di un collega che, si sapeva, aveva cani in casa, un collega si nascose sotto la scrivania. E quando Arturo entrò, si mise ad abbaiare, in modo così reale, da farlo fuggire in corridoio. Lui stesso, dopo, mandando a spendere il “finto quadrupede”, si fece una grassa risata.
Se esiste un aldilà, io non lo so. Ma se c’è, lo vedo lì a chiacchierare con il ct della Nazionale degli angeli, chiedendo di poter vestire la maglia numero 11…
Diego Costa
(5 ottobre 2023)