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Si è spenta Anna Maria Aldrovandi Baldi. Esperta di arte e cultura molto apprezzata nell’ambiente degli intellettuali bolognesi

Lunedì 20 gennaio 2025 è venuta a mancare Anna Maria Aldrovandi Baldi. Aveva 93 anni. Dai familiari so che si è spenta con dolcezza, nella sua casa accogliente a due passi dal centro di Bologna, accanto il figlio Luca; la malattia degli ultimi anni non le aveva tolto la serenità.
Anna era una collega: era stata iscritta al nostro Ordine – elenco pubblicisti – fino al 2018. In una breve scheda che lei stessa aveva dettato diceva, sobriamente, di sé: «Giornalista, scrive su varie riviste di cultura. Ha dedicato due volumi alla vita e alle opere della pittrice Norma Mascellani, cui la stessa artista ha collaborato».
In realtà quella con Norma Mascellani (1909-2009), pittrice di scuola morandiana, fu una solida amicizia, in qualche modo coronata dai volumi di cui sopra: l’autobiografia Oltre il colore (1998), cofirmata con l’artista, e la biografia Donne che van sole (2004); ma sono davvero tante le figure della cultura bolognese con le quali Anna ha saputo intessere relazioni ricche, delle quali i suoi articoli portavano il riverbero. Anzi, si può dire che la capacità di relazioni – sincere, dirette e affettuose, corroborate da un sorriso che sembrava un delitto spegnere con un diniego o una critica – era l’ingrediente principale con il quale cucinava i suoi testi.
Ho lavorato con lei in due momenti. A fine anni Settanta, nella neonata tv locale Telecentro (dove io, giovane e impreparato ma con una qualifica magniloquente, facevo di tutto un po’), conduceva due rubriche pomeridiane ben riuscite, una di bricolage e l’altra di interviste, che credo abbiano rappresentato il suo esordio nella comunicazione pubblica. Non c’erano autori, non c’era praticamente scenografia, non c’era neppure regia, visto che la telecamera era una sola: c’erano solo la telegenicità di Anna e, rispettivamente, i suoi lavori fai-da-te (ad esempio, come trasformare un fustino in un portariviste) e i suoi ospiti (artisti, intellettuali, persone comunque che lei rendeva piacevole conoscere): il filone che, abbandonate le forbici e la colla vinilica, sarebbe divenuto la cifra del suo giornalismo.
Nel primo decennio dei Duemila ci incontriamo di nuovo al mensile I martedì, del quale ero alla guida. Per tutto quel periodo ha arricchito la seconda parte della rivista con contributi a tema libero (Anna non era contenibile in un solo ambito), tra i quali si facevano particolarmente apprezzare i ritratti di artisti cittadini e i ricordi personali dell’infanzia e dell’adolescenza, spesso attraversati dalla guerra.
Riporto in proposito alcune righe dal n. 277 (ottobre 2009), che fanno sintesi di queste due qualità dei suoi articoli. «Ricordi accantonati da mezzo secolo affiorano alla mia mente – scrive immaginando di avere appena visto, dall’autobus, le due sculture che campeggiano a porta Lame –: è il 25 settembre 1943 e Bologna è preda del più feroce bombardamento che abbia mai subito. Avevo dodici anni e mi trovavo ammassata con tanta gente urlante nel rifugio di palazzo Bentivoglio. Fra un boato e l’altro si udiva una voce pacata che cercava di trasmettere forza e coraggio. Quell’uomo era Luciano Minguzzi – definito nel quartiere “un giovane scultore di belle speranze” – e lì, in quel palazzo, aveva il suo studio».
Di certo tanti che, come me, hanno collaborato con Anna la ricorderanno con affetto, sia che ti proponesse un articolo mentre la incrociavi, lei in bicicletta e tu in auto, a un semaforo, sia che ti consegnasse quell’articolo scritto a macchina e corretto ripetutamente a mano, chiedendoti scusa per il lavoro di trascrizione che sarebbe gravato sulla redazione, sia che per Natale ti portasse in dono uno dei tanti dolci che aveva cucinato e confezionato con cura per gli amici e i collaboratori.
Guido Mocellin
(6 febbraio 2025)