L’etica è fondamentale, altro che roba antica! Gli organismi di categoria esistevano prima di noi e continueranno a esistere anche dopo di noi. Il dissenso va espresso in un coordinamento degli enti
Giuseppe (Beppe) Giulietti è il nuovo presidente della Federazione nazionale della stampa italiana. Il suo impegno per la difesa della libera informazione e per la diffusione di una “cultura etica e politica” è noto.
Giornalisti ha già ospitato la sua voce (sul web e pure sull’ultima monografia cartacea). A margine di un incontro con il direttivo dell’Aser (al quale Giulietti ha voluto partecipare) abbiamo raccolto idee, propositi e “consigli” del neopresidente della Fnsi.
Di incarichi ne hai avuti tanti, in politica, nel Sindacato, come portavoce di un’associazione emblematica come Articolo21. Da poco ti ritrovi a essere il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana e dunque in un ruolo che ti vede “protagonista” di una situazione particolarmente difficile per il giornalismo in Italia. Anche in questi giorni ci sono state esternazioni sul lavoro precario: la lettera a Renzi della rete freelance e altre prese di posizione della categoria. Aver accettato di essere il presidente della Fnsi, in questo momento storico, cosa significa per te?
«Guarda, io penso che da soli non si faccia niente. Ho accettato la candidatura perché mi è stata offerta da tanti colleghi e colleghe di diverse esperienze, di diverse tendenze. Il ruolo del presidente deve essere quello di un garante dello Statuto e quindi delle ragioni che ci fanno stare assieme, non certo quello di un vice segretario, c’è stata spesso un po’ di confusione. Io credo che il presidente debba in primo luogo assicurare il rispetto delle delibere congressuali e debba assicurare il fatto che si svolga un dibattito sereno, tranquillo, aperto all’interno della professione. Il che non significa non avere differenze. Bisogna che le differenze trovino una sintesi e non si trasformino mai in uno scontro violento che colpisce le persone e nasconde la diversità delle idee. Mi piacerebbe far emergere, in un clima di grande unità, quelle che sono idee diverse. Vorrei che il dibattito – per quel poco che conterà la mia persona e la mia presenza – si spostasse di più sui temi di fondo della professione: l’etica, la Carta dei doveri, la rettifica, la diffamazione, le querele temerarie, la capacità di essere vicini, per esempio, ai cronisti che operano nelle zone di camorra, di mafia, ai cronisti minacciati. E vorrei ci si rendesse conto che i giornalisti non contano per il loro indice di ascolto, ma per la loro capacità di raccontare, per il loro indice di dignità. E quindi che sono tutti uguali. Non ci sono i più importanti e i meno importanti. È ciò che scrivi che ti rende giornalista e cioè utile alla comunità. Quindi, il tentativo di riprendere la discussione sui temi di competenza del presidente, che accompagni la difficilissima battaglia contrattuale (che spetta in primo luogo alla Giunta e agli organismi statutari). Penso che il presidente debba tentare di svolgere questo ruolo, quello di garantire il rispetto dei deliberati congressuali e di riprendere anche una fortissima discussione all’esterno, cioè sulle ragioni della professione e sul rapporto con chi ti legge e chi ti ascolta. Penso che l’etica faccia parte di una riflessione moderna e non sia un residuo del Medioevo, come sento dire da alcuni cinici e, secondo me, anche scarsamente alfabetizzati».
Infatti. Difesa dell’informazione e cultura giornalistica. Penso che siano due temi importanti da difendere. Credo che tutti dovremmo farlo.
«Questo è un mestiere che non può esistere se non c’è rapporto con chi ti legge e con chi ti ascolta. E quindi hai toccato un punto sacrale. Qualunque sia il mezzo tecnologico, se tu non hai investito sul comunicatore, se non investi nella sua capacità di racconto, di descrizione, di analisi critica delle fonti, ne fai un comunicatore debole, in balia dei poteri. Quindi, la capacità di non rinunciare mai a una dimensione critica e a un investimento nella formazione. E poi c’è la questione che abbiamo posto prima: come rispetti colui che ti ascolta? Essendo libero e dandogli tutti gli strumenti di conoscenza. Ma anche rispettandolo nella sua dignità. In questo senso, mi piacerebbe che nel futuro ci fosse – come è successo nel 1993 – una riflessione comune tra la Federazione della stampa, l’Odine dei giornalisti, ma soprattutto con le associazioni regionali e i comitati di redazione, sulla Carta dei doveri. Nel 1993 quel documento fondamentale nacque da un anno di riflessione e di confronto, anche aspro, all’interno e all’esterno. Oggi l’Ordine sta lavorando a rimettere assieme le troppe carte. Abbiamo moltissime carte, ma spesso o non applicate o non discusse o non maturate. Forse, adesso è giunta la stagione di ricominciare a pensare a una nuova Carta dei doveri, condivisa, non censoria, io non sopporto la via disciplinare. Forse, adesso ci sono le condizioni per poterci riprovare, ci vuole pazienza, tenacia. Non ci manca».
Il Testo unico di deontologia è già stato in parte approvato (8 articoli su 13) e a fine gennaio si completerà l’iter.
«Certo. Credo sia molto importante che anche la Federazione della stampa – come è accaduto nel ’93 – sviluppi una sua azione. Vorrei ricordare che proprio nel Contratto di lavoro giornalistico ci sono alcuni elementi che riguardano la completezza dell’informazione, l’obiezione di coscienza, il rispetto dei doveri che fanno sì che anche la Federazione su questa materia debba riaprire la discussione a tutto campo, ovviamente d’intesa con tutti gli istituti, a partire dall’Ordine. Ma su questi temi la Federazione della stampa non può abbandonare una sua riflessione».
Quindi, in questa fase, consideri importante anche un coordinamento degli enti di categoria?
«Ho sempre pensato – anche quando tanti anni fa stavo nel Sindacato – che bisogna tentare di far lavorare assieme la Federazione, l’Ordine dei giornalisti, l’Inpgi e la Casagit, che chiunque alimenti una permanente contrapposizione tra questi organismi di categoria stia minando la credibilità di tutti gli istituti. Da parte mia, anche se provocato (e già è accaduto) non farò una riga di polemica pubblica con nessuno dei dirigenti delle istituzioni dei giornalisti. Poi in privato dirò tutto quello che penso, ma non in pubblico».
Franca Silvestri
(17 gennaio 2016)