La cultura e l’educazione non bastano. Servono norme, anche di natura penale, per arginare e contrastare la diffusione di menzogne pericolose nella Rete
Gabriele Bordoni è avvocato penalista e giornalista pubblicista. Un doppio profilo che lo spinge a esaminare con competenza, sensibilità, rigore i complessi rapporti fra diritti, responsabilità e informazione. In occasione dell’ultimo World press freedom day (la giornata mondiale della libertà di stampa voluta dall’Unesco) è intervenuto al corso Fpc Le false verità dei social network: diritto di informazione tra verità e post-verità. Un incontro-confronto fra studiosi, avvocati e giornalisti su un tema “caldo” che tocca nel vivo chiunque entri nel flusso comunicativo: i professionisti dell’informazione ma anche tutti coloro che fruiscono, veicolano e sempre più spesso manipolano le notizie. Bordoni ha espresso pareri schietti e molta preoccupazione per la deriva dell’informazione, la “dispersione” nella Rete, le minacce crescenti alla nostra civiltà.
Fragore mediatico, fake news, post-verità, credibilità dei giornalisti sono questioni stringenti che destano curiosità ma soprattutto perplessità e timori. Cosa puoi dire in proposito?
«Ritengo che la mia generazione abbia un compito imprescindibile: la nostra esperienza di “nativi normali” deve aiutare i “nativi informatici”. Perché chi è nato e ha cominciato a raccogliere esperienze nel mondo di Internet vive in una dimensione molto più dilatata e impalpabile, in un contesto dove è sempre più difficile vedere la differenza fra il reale e il virtuale. Credo che questo sia il punto da cui partire per affrontare il fenomeno in cui oggi ci troviamo, anche sotto i profili penalistici. È estremamente difficile e seccante pensare che lo strumento penale debba intervenire quando i concetti in gioco sono la libertà, la libertà di espressione, la libertà di informazione. Certamente lo strumento della cultura e dell’educazione aiutano molto, ma forse non bastano ad arginare la situazione che si sta delineando. Allora, la mia generazione ha il compito di informare i giovani per cercare di recuperare nel mondo di oggi e nel mondo che verrà alcuni elementi e principi imprescindibili della nostra cultura, altrimenti si profilano scenari sempre più cangianti, difficili, impalpabili, pericolosi».
Da dove si dovrebbe cominciare?
«I due punti di osservazione iniziali sono lo spazio e il tempo. Oggi l’informazione naviga attraverso uno strumento nuovo che ha un primo elemento di grande differenza: la dilatazione dello spazio. Qualunque legislazione, qualsiasi intervento correttivo non può prescindere da un dato evidente: l’informazione che corre sulla Rete è senza confini, ha una dilatazione enorme e la capacità di diventare virale. L’altro fattore è il tempo. In Internet i tempi sono diversi da quelli dei giornali, della scrittura, sono tempi forsennati che spesso non consentono di fare le verifiche per garantire l’autenticità dell’informazione. Ma sono verifiche indispensabili, da fare prima che le notizie vadano a prendere piede e a diffondere qualcosa che può essere negativo».
I giornalisti hanno il dovere di verificare le fonti, ma procedono con fatica in questo flusso comunicativo convulso dove sembra che tutti abbiano titolo per propagare notizie.
«Deve essere recuperato il valore della professionalità dei giornalisti. Oggi chi comunica nella Rete dialoga nell’impalpabile. Ma i giornalisti non devono mai dimenticare che l’informazione fatta da professionisti è regolata da tre diritti fondamentali (diritto di cronaca, di critica e di satira), per i quali l’elemento imprescindibile è la verità, altrimenti viene fuori una miscellanea foriera di veleni, si diffondono le bufale e le falsità manipolative».
A volte è difficile identificare le “bufale” e soprattutto arginare le falsità. Ritieni si debbano considerare meglio i concetti di spazio e tempo?
«L’analisi non può che partire da lì. Noi tutti siamo sempre più calati in un mondo virtuale diverso dall’ambiente fisico in cui viviamo, con una superfetazione di informazioni e di comunicazioni che molto spesso sfuggono a un nostro diretto interesse ma che partecipiamo quasi forsennatamente. Non possiamo immaginare che quel mondo “diverso” sia privo di norme, altrimenti lo lasciamo in mano ai barbari e in balia di cose pericolose. Anche quello spazio deve trovare una regolamentazione, proprio perché è uno spazio che non ha confini, impalpabile, che può creare un’epidemia e una diffusione ubiquitaria del male. Un giornale che in malafede dovesse pubblicare una notizia falsa o tendenziosa potrebbe arrivare a 10, 20, 30, 100 mila lettori e avrebbe una diffusione circoscritta nello spazio, molto spesso collocata anche territorialmente, lessicalmente, linguisticamente. La Rete invece dà la possibilità di diffondere ubiquitariamente notizie che colpiscono ovunque e chiunque, con una tempistica velocissima che oltretutto mette i giornalisti, anche quelli coscienziosi, nell’impossibilità di andare a verificare correttamente le fonti, di riflettere su quello che deve essere comunicato, perché sono in competizione con chi senza nessuno scrupolo dà vita a una diffusione incessante e spesso mette in circolo bufale. Allora, non si può consentire a uno strumento di essere governatore delle libertà dei singoli: bisogna che anche quello spazio-tempo virtuale trovi delle norme. Innanzitutto è necessario recuperare le regole di base che guidano il lavoro dei giornalisti e poi occorre una normativa, anche con una deriva penale, stabilita in termini tali da non diventare una forma di bavaglio per la libertà di espressione, ma che sia il bavaglio per la libertà di espressione sbagliata di chi navigando senza regole nella Rete può diffondere spore venefiche ubiquitariamente, velocemente e irreversibilmente».
Concretamente, cosa si può fare?
«Bisogna individuare degli strumenti che devono trovare un coagulo e un contraltare anche sul piano tecnico-operativo, perché si deve dare uno strumento di legge ma anche uno strumento informatico che possa far sì che quella legge trovi effettivamente una pratica e rapida applicazione. È soltanto nel confronto fra giuristi e tecnici che si possono trovare delle soluzioni, che non devono limitare la libertà di espressione di ogni cittadino (poiché in Internet trova uno spazio e un modo che probabilmente non aveva mai avuto), ma devono essere una forma di bavaglio per chi abusando della libertà va a fare cose contro la libertà e i diritti degli altri. Non si deve dimenticare che la libertà di espressione è legata alla verità. Allora, bisogna fare una sorta di vaglio di quello che si trova sulla Rete e cercare di impedire che vengano diffuse notizie false. È indispensabile per evitare che la collettività si orienti in maniera irreversibile verso falsità che possono distorcere irrimediabilmente il reale. Bisogna tentare di procedere in questa direzione, altrimenti andremo tutti incontro alla dispersione e non ci sarà più la nostra civiltà reale e concreta, non ci saranno più le nostre identità di persone, di collettività democratica e civile».
Insomma, occorre una linea più “dura”?
«Bisogna mettere dei paletti specifici almeno in capo al gerente di un sito o di una testata online o di coloro che gestiscono informazioni. È necessario contrastare la diffusione di notizie assolutamente fuori controllo e false con un piano di natura penale. Purtroppo è l’ultima ratio alla quale si deve ricorrere ma a volte è la sola che dà un minimo di contrappeso al fare libero di chi non vuole fare bene ma vuole fare male. Se invece vengono poste delle condizioni di quel tipo, probabilmente qualcuno si può arrestare. E comunque, se non si arresta, si forniscono strumenti al pubblico ministero per intervenire e spegnere il sito. Non si può consentire che dei delinquenti in mala fede diffondano notizie ferali deturpando la libertà e i diritti delle persone senza un minimo di vigilanza, senza nessun controllo. Pian piano svaniranno la carta e i sistemi che l’uomo ha conosciuto negli ultimi duecento anni e si passerà a una diffusione dell’informazione impalpabile, telematica, velocissima, ubiquitaria. Se quella informazione per tempo non troverà delle regole e dei capisaldi ben precisi, anche di natura penale, ci saranno generazioni di persone che non riusciranno più a distinguere la realtà vera dalla realtà virtuale e nella realtà virtuale navigheranno attraverso falsità di tutti i tipi e non se ne potranno più affrancare. Prima che ciò accada, è necessario intervenire. Bisogna che ci diamo tutti da fare nelle nostre professioni, nella nostra vita quotidiana, nel nostro modo di essere. Quindi, cultura certamente, educazione certamente, ma anche leggi e purtroppo talvolta repressive, se valgono ad arginare dei fenomeni che a breve potrebbero diventare veramente ingovernabili e gravissimi nelle conseguenze».
Franca Silvestri
(15 maggio 2017)