Addio Carlo Donati. Giornalista autorevole, colto, ironico. Firma prestigiosa e storico caporedattore della Terza Pagina culturale al Resto del Carlino
Un velo di abbronzatura, i folti capelli grigi e un paio di occhiali da sole che nascondevano occhi profondi e sopracciglia scure disegnate con forza dalla natura.
Carlo Donati era il George Clooney del Carlino. Affascinante, un po’ misterioso. Appartato e schivo come la Terza Pagina, la vetrina culturale del giornale di cui è stato responsabile per molti anni. Elegante, accurato nel vestire ma mai lezioso il nostro Carlo, proprio come la sua creatura di carta concepita con elzeviri, dotte recensioni, reportage di scrittura raffinata. E allestita con cura minuziosa nei tempi dilatati del giornale di allora, arrotolando una dopo l’altra le cartine intorno al tabacco in un rituale quasi magico.
Donati era il sacerdote laico di questa pagina che somigliava un po’ a un tempio, un sacro luogo per pochi eletti. Riuscire a scriverci un pezzo era il sogno di tutti, diventarne il curatore una conquista. Carlo ci era arrivato dopo un lungo percorso. Partito dalla natia Parma era piovuto nel regno del Carlino per essere catapultato ad Ascoli, periferia dell’impero ma vitalissima piazza del giornale bolognese. Fu proprio ad Ascoli che Carlo conobbe il giornalismo e pure la donna che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Il destino li portò entrambi a Bologna dove le qualità di Donati si manifestarono molto presto. La prosa limpida, la lucida visione del mondo, lo spirito dissacrante nascosto dietro un apparente distacco dalle cose lo spinsero verso il suo approdo naturale, quella Terza Pagina che Metello Cesarini e Marco Leonelli gli consegnarono come un territorio franco, una palestra del suo talento. Nei lontani anni Ottanta mi capitò di scrivere due reportage dal Libano dopo una visita con Pertini e la Nazionale di calcio al contingente italiano. Sono pezzi di cui vado ancora fiero e orgoglioso e comparvero proprio nella Terza Pagina del Grande Sacerdote.
Fuori dal suo ruolo, Carlo era un uomo amabile, dal sorriso trattenuto ma sempre ironico e pungente. Era l’idolo incontrastato di Rita e delle signore che lavoravano alla mensa del giornale, dove ogni giorno pranzava. Dopo la pensione l’ho incontrato più volte a pranzi di colleghi organizzati da Mauro Bassini, ironicamente ribattezzati “i resti del Carlino”. Qui Carlo dava il meglio di sé felice di abbattere quella patina di riserbo che ne mascherava la timidezza.
Stava lavorando a un progetto spaventoso e ponderoso, una storia della via Emilia raccontata da Piacenza al mare con lo sguardo dello storico, la curiosità del giornalista e le divagazioni sorridenti proprie del suo spirito. Per Carlo era come preparare migliaia di terze pagine, perché ogni dettaglio doveva essere curato, preciso, inappuntabile. Non so quanti anni di vita gli abbia preso questa magnifica fatica letteraria raccolta in due giganteschi volumi. Ma è l’eredità che ci lascia, la fotografia che meglio lo rispecchia. Ciao Carlo, hai finito il percorso e ti siamo grati del tuo grande lavoro.
Giuseppe Tassi
(4 febbraio 2024)