Cesario Picca: un cronista appassionato sulle ali della fantasia narrativa
Un giornalista di Bologna con le radici nel Salento. Un cronista attento e scrupoloso che ha intrecciato la professione con la creazione di opere letterarie insolite e suggestive. È Cesario Picca, classe 1972, laureato in Economia all’Università di Lecce, a lungo apprezzato reporter di cronaca nera e giudiziaria. Da diversi anni è ideatore fecondo di romanzi gialli e narrazioni incisive fra realtà, immaginazione e fantasy. Nel 2002 è stato insignito del premio Cronista dell’anno “Piero Passetti”. Nel 2005 ha pubblicato il saggio giuridico Senza bavaglio – L’evoluzione del concetto di libertà di stampa. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro abbiamo raccolto questo contributo.
Per più di vent’anni anni ti sei occupato di cronaca nera e giudiziaria. Come tu stesso hai affermato: “La strada è stata la mia casa, le lancette dell’orologio la mia schiavitù, i fatti da raccontare il mio dio, il pubblico e i lettori i miei unici padroni. Non c’erano feriali o festivi e neppure vita privata o sociale. Nella folle corsa alla ricerca di una storia da raccontare non riuscivano a fermarmi né il caldo, né il freddo; ma neppure la pioggia o il vento, la neve o una tempesta”. Poi cosa è accaduto? Come mai hai messo un po’ in secondo piano la professione giornalistica per dedicarti alla scrittura di romanzi gialli, dando vita alla fortunata e lunga serie di “noir” che hanno come protagonista il cronista salentino Rosario (Saru) Santacroce?
«Come tanti altri colleghi sono stato investito dallo tsunami che ha spazzato via tante vite, un bel pezzo di storia, molta ricchezza (umana e professionale) e soprattutto tanta passione. La vita, in fondo, è caratterizzata da fasi. E probabilmente la parentesi del cronista da strada, seppur proficua e ricca di soddisfazioni come il premio cronista dell’anno, era destinata a chiudersi. A dire il vero, se fossi stato disposto ad accettare compensi da fame avrei potuto continuare, ma non avevo voglia di farmi travolgere da questa scellerata politica al ribasso. Così, di fronte all’ennesimo bivio imposto dalla vita, ho deciso di dedicarmi a Saru Santacroce che da tempo ormai andava assumendo le sembianze del mio alter ego. Una scelta che si è rivelata davvero appassionante».
Anche nelle vesti di narratore-giallista, attraverso le “avventure” di Saru Santacroce, hai messo a fuoco il non facile lavoro di chi fa informazione, le vicende esistenziali e professionali dei cronisti, il complicato equilibrio tra chi esercita il potere e i lettori.
«Con i miei gialli non mi sono allontanato moltissimo da ciò che facevo prima perché scrivendo storie ispirate dalla vita, sono ancora molto legato alla cronaca. In effetti, grazie al cronista Saru Santacroce, il lettore scopre quanto sia difficile fare informazione e quanto costi in termini di relazioni umane: uno scontro continuo con inquirenti, investigatori, istituzioni e palazzi del potere. Una guerra che ruba molto tempo (anche agli affetti più cari) e che ovviamente logora parecchio chi sceglie di salvaguardare la deontologia e che non lascia immune neppure chi è disposto ad adeguarsi perché spegne l’ardore di andare oltre l’apparenza a discapito della verità, della democrazia e della libertà».
Nelle tue narrazioni non mancano note malinconiche e un pizzico di nostalgia per la tua terra d’origine, il Salento. Dove sono ambientati i tuoi romanzi e quali aspetti socio-culturali si intrecciano con le vicende di fantasia?
«Nelle mie narrazioni suspense e mistero lasciano spesso spazio alla riflessione e alle considerazioni su ciò che mi circonda e sulle mie origini. Saru Santacroce è un personaggio molto sanguigno, parecchio razionale e qualche volta rude e politicamente non corretto. Ma è genuino, schietto e sincero. Va dritto alla sostanza anche se non disdegna la forma; ama la vita, odia la falsità, l’ipocrisia e il finto buonismo. E con queste non facili premesse affronta la vita e dice la sua su ciò che gli accade intorno. Ero anch’io così quando vestivo i panni del cronista in prima linea e non vi dico gli scontri con i rappresentanti del potere costituito, seppure con educazione e rispetto. I gialli di Saru Santacroce sono ambientati in vari luoghi e affrontano diversi argomenti. Tremiti di paura (ambientato alle Isole Tremiti) è legato al femminicidio; Vite spezzate è un thriller psicologico che si sviluppa a Londra ed è contro gli abusi sui minori; Gioco mortale è ambientato a Bologna e affronta il mondo della trasgressione; L’intrigo si snoda in Calabria e parla di sfruttamento dell’immigrazione in un contesto esoterico; Il dio danzante è figlio del Salento e racconta quanto sia difficile fare i conti con le certezze quando nulla è come appare perché tutti nascondono segreti inconfessabili; infine, il bolognese Il filo rosso spiega che alcune volte sbagliando non si impara ma si muore».
Perché hai scelto proprio il romanzo giallo come genere narrativo? C’è qualche autore che ha contribuito alla tua “formazione” di scrittore?
«Per 25 anni mi sono occupato di cronaca nera e giudiziaria e pertanto è stato tutto molto spontaneo. Si dice spesso che uno dovrebbe scrivere di ciò che sa e conosce e io qualcosa ho imparato in tutti quegli anni spesi a correre in ogni dove alla folle ricerca di storie da raccontare o da spiegare. In fondo, a pensarci bene, per me che sono un cronista e un salentino sarebbe stato più complicato avere a che fare con un personaggio medico e magari trevigiano. A parte la vita, che mi ispira parecchio, non c’è un autore in particolare nella mia formazione perché ne leggo davvero tanti, sia americani che europei. Ma se proprio dovessi scegliere, direi assolutamente europei dato che, a mio modesto avviso, la scuola del vecchio continente resta inarrivabile in quanto a qualità e stile».
Con il tuo nuovo libro Cento giorni ti allontani dal genere “noir” e dalle avventure del cronista Santacroce. È stato definito “un inno all’amore ma soprattutto una corsa contro il tempo per salvare il mondo in pericolo a causa di un apocalittico progetto di clonazione”. È così?
«Sì, Cento giorni non è un giallo bensì un romanzo. Parla di una bellissima storia d’amore, complessa e un po’ complicata come tutte le storie importanti. Mi è venuta in mente qualche estate fa mentre leggevo Uccelli di Rovo. Non è il mio genere di letture perché divoro quasi esclusivamente gialli. Ma ho trovato quel romanzo nella mia libreria mentre cercavo qualcosa da leggere e l’ho visto quasi come un segno del destino. In Cento giorni scrivo molto di sentimenti ma non manca la suspense in un contesto apocalittico ricco di mistero e misticismo».
I proventi della vendita del libro saranno devoluti per l’emergenza Coronavirus. Un questione tragica e complessa, che ha messo alla prova anche i giornalisti. Cosa puoi dire in proposito?
«Cento giorni è stato pubblicato proprio durante l’emergenza Covid-19 e di fronte a certe immagini strazianti mi è venuto spontaneo offrire il mio contributo devolvendo i proventi della vendita. E quale modo migliore per mettere in pratica il nobile sentimento dell’amore se non aiutando il prossimo? Del resto, come diceva papa Roncalli, che era bergamasco, “nulla di quello che accade all’uomo deve risultarci estraneo”. Ma ciò non significa che io non sia speranzoso che prima o poi qualche cosa di più chiaro emerga per comprendere meglio questa vicenda dai contorni molto opachi che fa sorgere parecchi dubbi senza per forza scomodare teorie complottistiche o ispirate da retropensiero».
Che progetti hai per il futuro, come giornalista e come scrittore?
«Come giornalista ancora non lo so. La vita è davvero imprevedibile e io non ho certamente chiuso quella porta al cui stipite mi appoggio spesso per guardare quel mondo, che seppur parecchio diverso da quello in cui lavoravo e vivevo io, ha caratterizzato anni davvero molto belli e avvincenti. In quegli attimi mi passano davanti spezzoni importantissimi della mia vita. Ecco, quella porta rappresenta per me un pacco di Madeleine, giusto per citare Proust. Gli oltre 20 anni di professione restano una fonte inesauribile di esperienza e di aneddoti alla quale attingo spesso per scrivere i miei thriller che partono sempre da fatti di cronaca realmente accaduti prima di lasciare spazio alla fantasia. In questo momento sto mettendo a punto il mio nuovo giallo che uscirà l’anno prossimo. È ambientato a Napoli e ha dei risvolti che lo avvicinano agli horror di Edgar Allan Poe. E ho già cominciato a mettere nero su bianco le prime parole del successivo».
Franca Silvestri
(1 giugno 2020)