È scomparso Oddone “Dodo” Nordio, prestigiosa firma dello sport al Resto del Carlino. Il ricordo vivo, commosso, partecipato di Lorenzo Sani, amico e collega affezionato, consigliere dell’Odg Emilia-Romagna
Magro come un chiodo, affilato come le sue battute che sapevano sempre spiazzarti. Oddone Nordio era semplicemente Dodo, per noi dell’ultima redazione sportiva nazionale del Carlino, prima dell’avvento dirompente delle sinergie, prima del Quotidiano Nazionale, degli accorpamenti degli uffici, delle economie di scala, della prevalenza degli amministrativi sulle redazioni, prima della tomba più paradossale che si potesse inventare, se guardiamo alle relazioni interpersonali: gli open space.
Quindici anni insieme, come si dice nella formula del matrimonio, «nella buona e nella cattiva sorte», anche in questo caso senza entrare nel merito delle percentuali. Dodo si è sicuramente divertito facendo questo mestiere. Ha attraversato generazioni di calciatori, allenatori e colleghi giornalisti, diffidando sempre di chi si prendesse troppo sul serio, con una punta di sana e malcelata goliardia. Il calcio, la sua grande passione. Il Bologna, innanzitutto. E quel mestiere nato quasi per fatalità, come per tanti di noi che si sono lasciati sedurre senza opporre resistenza e poi travolgere, senza capire bene dove si trovassero. Un avvio di carriera, lunga e fortunata, a dir poco terrificante: i primi servizi “da abusivo” giornalista, in occasione della tragedia del Vajont, 9 Ottobre 1963, dalla redazione che Giovanni Spadolini aveva voluto per il Carlino a Belluno.
Polesano di Adria per l’anagrafe, ma bolognese d’adozione, Nordio è stato tra gli inviati più longevi per militanza e fedeltà alla testata del nostro giornalismo sportivo. Ha girato il mondo, seguìto Mondiali e campionati Europei raccontando le imprese della Nazionale azzurra, sempre in prima fila quando si batteva un club italiano nelle coppe, fosse questa la Juve, il Toro, le due milanesi, il Verona dei miracoli, la Samp di Vialli e Mancini, il Napoli di Maradona, o la Roma di Liedholm. Il Bologna calcio nel cuore, coppia fissa in tribuna stampa e per le telecamere di E’Tv con Gianfranco Civolani, poli opposti che si attraggono fatalmente con l’unico viatico comune nei giudizi trancianti, talvolta così tanto da apparire quasi inverosimili. Gemelli diversi quei due, come Jack Lemmon e Walther Matthau, anche quando litigavano, o fingevano di farlo. E l’arma dell’ironia sempre pronta a colpire quando meno te lo aspetti. Oddone era la punta che poteva cambiare il corso della partita, tra fantasmagoriche rovesciate volanti e clamorosi autogol. Non era un maestro di giornalismo e non ha mai preteso di esserlo, ma ci ricordava quotidianamente, col suo lavoro, che il nostro è un mestiere difficile, se vuoi portare a casa una notizia, che i rapporti vanno curati con passione e lealtà, che la scrittura non è il bene primario se manca la sostanza, l’umanità vera, perché altrimenti scade a sterile autocompiacimento narcisista. Non mancavano mai le discussioni con Oddone e ci si mandava pure a quel paese, non di rado. Nel bene e nel male, si diceva. Poi ci si beveva su. Sempre. Un wiskaccio, naturalmente, alla maniera di Niccolò Carosio e Gianni Brera. Ma anche alla tua, Dodo! Ci ritroveremo, prima o poi. Dove sai tu. Con la certezza che un bravo giornalista non ha fatto niente di male per meritarsi il Paradiso.
Lorenzo Sani
(9 maggio 2018)
Oddone Nordio era iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 1968 come professionista. Nel 2008 l’Odg Emilia-Romagna gli ha conferito la medaglia d’oro per i primi quarant’anni di permanenza nell’Albo. Lo scorso gennaio ha tagliato il traguardo dei cinquant’anni di iscrizione. Familiari, amici e colleghi si sono stretti a lui per un ultimo, sentito saluto il 9 maggio nella Cappella della camera mortuaria dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.
Nella foto: Gerardo Bombonato (presidente dell’Odg Emilia-Romagna nel 2008) consegna a Oddone Nordio la medaglia del quarantesimo