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Giuliano Berretta, Guglielmo Marconi e LA LINEA SEGRETA DELLE COSE

C’è una linea sottile, quasi invisibile, che unisce alcune persone nel tempo. Non è un cavo, né un’orbita, né semplicemente un’idea. È qualcosa di più sfuggente, come una corrente d’aria intelligente o un elettromagnetismo che attraversa gli anni e fa vibrare la realtà nei punti più inattesi.

Ho pensato a questa linea quando è arrivata la notizia della scomparsa di Giuliano Berretta. Non una notizia qualsiasi. Un segnale. Berretta non era uomo da prime pagine, ma senza il suo lavoro molte prime pagine – quelle che contano, quelle che raccontano – non sarebbero mai arrivate.

Aveva ben chiaro che la tecnologia non vale nulla se non trasmette un contenuto. E che il contenuto, a sua volta, serve solo se aiuta a capire, ad accendere la luce su ciò che è complesso, a porre domande capaci di farci crescere come individui e come collettività.

Berretta, per anni presidente di Eutelsat, ha fatto ciò che pochi sanno fare: ha guidato l’industria verso l’alto senza mai perdere il contatto con la terra. Concreto, preciso, necessario. Come un ingegnere, o come un satellite, che disegna traiettorie nello spazio tenendo lo sguardo rivolto alla Terra.

Oltre alla sua straordinaria competenza tecnica, lo ricordo per la limpida disponibilità verso tutto ciò che serve alla verità. Quando ha deciso di sostenere il Premio dedicato alla memoria di Roberto Morrione – un amico comune, giornalista rigoroso e silenzioso – lo ha fatto con la convinzione di chi crede che l’accesso all’informazione sia un diritto, non un privilegio.

Fu proprio Berretta, un quarto di secolo fa, a innescare in me la scintilla che mi ha avvicinato alla figura di Guglielmo Marconi, spronandomi a guardare a lui non solo come al genio delle onde, ma come all’uomo che voleva accorciare le distanze e abbattere le barriere di spazio e tempo. Quando Berretta fece trasferire al Monte Fucino una sezione del panfilo Elettra – il laboratorio galleggiante da cui Marconi lanciava segnali oltre l’orizzonte – non compì un gesto da collezionista. Non cercava un monumento. Stava lanciando un messaggio: ricordiamoci da dove arriva la nostra capacità di ascoltare.

Berretta e Marconi, separati dal tempo, erano uniti dallo stesso impulso: far arrivare qualcosa nel modo giusto. Una voce, un’inchiesta, un segnale digitale: tutto parte da un atto di fiducia come inviare un messaggio nella speranza che qualcuno, altrove, lo riceva.

Entrambi sono stati protagonisti fondamentali nell’evoluzione delle telecomunicazioni. Ma di Berretta, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, resta soprattutto un atteggiamento: la tensione verso l’alto, unita all’attenzione per ciò che circola quaggiù – le notizie, i racconti, la libertà, nonché l’impegno concreto nell’aiutare le nuove generazioni di giornalisti a portare alla luce inchieste difficili, ma vitali per la democrazia.

Oggi che quella linea ha perso un nodo, spetta a noi tenerla tesa. Non per nostalgia. Ma perché – come sapevano Marconi, Morrione, Berretta e tanti altri – il mondo resta in equilibrio non grazie a ciò che si vede, ma a ciò che ci aiuta ancora a capire. Anche da lontano.

Enzo Chiarullo*
(5 giugno 2025)

*Giornalista professionista, laureato all’Università di Bologna con Mauro Wolf in “Tecniche del linguaggio radiotelevisivo”, è stato Capo ufficio stampa e comunicazione per la Città di Sasso Marconi (BO) dal 2000 al 2019. Svolge da 30 anni attività di collaborazione giornalistica freelance e di consulenza su progetti di comunicazione e di branded journalism. È tra i fondatori e nella giuria del Premio Morrione, dal 2021 è socio dell’agenzia di comunicazione strategica Pragmatika di Bologna.