L’esempio di Ruqia, la giovane giornalista morta per aver sfidato l’Isis
Il mondo civile piange Ruqia Hassan, la giornalista di trent’anni uccisa dai boia dello Stato Islamico. Ruqia possedeva due caratteristiche, che il Califfato nero non poteva tollerare: era donna ed era libera. Insomma, la convivenza con l’oscurantismo totalizzante era impossibile.
E oltre ad essere una donna libera, Ruqia aveva una sua dignità, grazie alla quale poteva permettersi di affrontare a testa alta le dure prove di una vita trascorsa in un’area geopolitica solcata da turbolenze di ogni tipo.
Raccontava la quotidianità di Raqqa, una delle roccaforti dell’Isis, e per questo uno dei principali bersagli delle bombe della coalizione internazionale. Il terrore che si aggiunge al terrore e che spinge la vita delle persone a guardare in faccia la morte praticamente tutti i giorni.
Ruqia non era scappata quando la sua città aveva subito l’occupazione dell’Isis. Aveva continuato a informare, a raccontare, a documentare. Lo faceva sotto le bombe, sfidando costantemente il rischio di essere arrestata dai jihadisti. Era consapevole di non essere accettata, ma nemmeno le frequenti minacce di morte l’avevano piegata.
La sua sfida all’intolleranza e all’indifferenza è durata fino a pochi giorni fa, quando è rimasta vittima di chi non poteva più accettare che la sua voce libera continuasse ad alzarsi. Prima di morire ha scritto una frase che rappresenta il suo testamento ideale: “Meglio morta che senza dignità”.
Il suo sorriso, il suo coraggio, ma soprattutto la sua insopprimibile dignità rimarranno per sempre un faro per chi, a qualsiasi latitudine, crede in un giornalismo libero e indipendente.
Antonio Farnè
(7 gennaio 2016)