Milena Gabanelli madrina del Master in giornalismo di Bologna. Grande partecipazione di studenti, pubblico e “gente” del settore all’inaugurazione del nuovo biennio formativo voluto da Alma Mater e Odg
“Da quando frequento questo mestiere sento dire che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, ma per esperienza personale so che è un lavoro a cui si dedica la vita, molto faticoso e di grande responsabilità”. Con questo aneddoto sulla professione Milena Gabanelli inaugura il Master in giornalismo di Bologna.
È una prolusione singolare la sua. Una lezione non convenzionale che vuole soprattutto stabilire relazioni con l’uditorio e far emergere la voce degli “scolari” del Master, sondare le loro aspettative e le modalità con cui pensano di mettersi in gioco in un prossimo futuro professionale. La Signora di Report non dà ricette, ma sprona gli allievi a mettere a frutto l’esperienza teorico-pratica che matureranno nei due anni di Master, li spinge a proiettarsi in avanti per immaginare l’approccio che ognuno di loro avrà con il mondo “reale” del giornalismo italiano.
Riparte così il Master in Giornalismo di Bologna, dopo più di due anni di stasi. Ricomincia con spirito rinnovato, con un corpo docente qualificato e soprattutto con un piano didattico più in linea con le esigenze di un epoca complessa, ipertecnologica, di forte “crisi” del settore (altra news a questo link).
Al battesimo del nuovo biennio formativo per giornalisti professionisti ci sono Fulvio Cammarano (direttore del Master), Franco Farinelli (direttore del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione), Antonio Farnè (presidente dell’Ordine Giornalisti Emilia-Romagna) ma anche molti tutor e insegnanti del Master.
E c’è lei, Milena Gabanelli, chiamata a illustrare Il ruolo del giornalista oggi. Purtroppo, in questi anni, il giornalismo non viene considerato molto positivamente: “è un mestiere che gode di cattiva fama, ma era già così ai tempi di Balzac”. C’è un brano intitolato I giornalisti, contenuto in una raccolta di scritti di Balzac, che presenta un ritratto decisamente negativo delle diverse figure giornalistiche. Milena Gabanelli ha trovato il libro per caso su una bancarella ma lo propone con intenzione agli allievi del Master: “siamo a metà ‘800, però a leggere queste pagine viene da dire che sembra ieri. Perché rispetto al mondo del giornalismo si affermano sempre le stesse cose. È una categoria infame. È vero. Abbiamo avuto degli esempi che hanno sporcato la categoria. Ma questo vale per tutti i mestieri”.
Qualche elemento nuovo c’è nella nostra epoca. “Oggi la discussione è su Internet: tutti possono scrivere e quindi tutti possono essere giornalisti, c’è il famoso citizen journalism”. E poi: “siamo travolti da notizie false, dalla cosiddetta post-verità, anche se non ho capito cosa sia la post-verità, cioè o è verità o non è verità, il post non so cosa significhi. E le fake news? O è una bufala, che ha la goliardia della bufala, o è un falso, ma bisogna stare attenti a dire falso”. Le notizie false e le bufale ci sono sempre state, però “in questo momento è più semplice veicolarle perché il mezzo lo consente. Una cosa falsa, non autentica, viene ripresa, rimbalza, diviene reale e la balla diventa notizia”. Cambiano i mezzi, ma “non sono Internet o i social network o un tweet di 140 caratteri i responsabili perché dietro ci siamo noi giornalisti. Il mezzo costringe soltanto a modellare l’informazione”.
Comunque, “il giornalismo può cambiare il mondo: i giornalisti rischiano per andare fino in fondo, per verificare le fonti”. E “indubbiamente, è il mestiere più bello del mondo perché mette in contatto con realtà diverse. È forse una delle professioni più complete, ma richiede una dedizione molto forte, totale, che però ricompensa di tutto”.
Questo l’incipit. Poi Milena Gabanelli si rivolge agli studenti del Master e li sprona a interrogarsi sul proprio futuro professionale: “quando uscirete da qui probabilmente sarà difficile trovare lavoro, perché in Italia i giornalisti sono numerosi. È vero. Ma è vero soprattutto quando si fa tutti la fila fuori da una porta senza avere idea di che cosa si vuol fare”. E allora? “Vi invito e invito anche i vostri docenti a spingere ognuno di voi a individuare il proprio talento, a capire cosa vi appassiona di questo mestiere, quale settore vi interessa. Perché ognuno ha una particolarità, che è diversa da quella di chiunque altro, e quindi può dare qualcosa che un altro non può dare. Questo rende meno difficile sopportare la fatica, più facile distinguersi e dare quel qualcosa in più”.
La Signora di Report continua il suo pressing sugli allievi: “vorrei proiettavi in avanti e rivolgervi qualche domanda. Immaginatevi fra un paio d’anni, quando uscirete dal Master e dovrete cercare lavoro. Qual sarà la prima cosa che farete? Premesso che passiate questi due anni a impadronirvi di una cultura generale che riguarda un po’ tutti i settori e gli aspetti specifici della professione, poi però ognuno di voi deve capire verso cosa è più portato”. Ma “dovete cominciare già adesso. Volete fare gli inviati, occuparvi di politica, di questioni economiche, di costume, seguire la moda, la salute, l’alimentazione? Il giornalismo in fondo ha un ventaglio di possibilità enormi. E voi dovete tirare fuori il meglio, perché soltanto così riuscirete a giocarvi una carta in più”. E allora: “cosa farete quando uscirete di qua, qual è la prima cosa che farete per cercare lavoro?”.
Gli allievi del Master cominciano a interagire e Milena Gabanelli cerca di dare qualche suggerimento: “una cosa che non dovete fare è dire adesso ho un’idea però poi non so se sarà possibile. Questo schema va abolito. Invece, bisogna dire so che mi piacerà quella cosa là. Proiettatevi a fra due anni, cominciate fare questo allenamento mentale, perché se non lo fate ora perderete tempo strada facendo continuando a dire vado lì ma poi non so se, invece bisogna andare lì sapendo che. Magari vi diranno no, e allora busserete a un’altra porta. Però orientatevi in questa direzione”. Insomma, “qualcuno vi dovrà pagare, vi dovrà dare un compenso per quello che riuscirete a produrre o addirittura dovrà assumervi. In qualunque ambito voi decidiate di fare questo mestiere (carta stampata, televisione, web) bisogna partire in un certo modo. Allora, fra due anni cosa farete? Come vi muoverete?”.
Certo, “quando uscirete dal Master e vi immettete nel mondo del lavoro dovrete ricominciare un po’ da zero. Ma non c’è dubbio che ognuno di voi ha il carattere e la determinazione per riuscire a fare quello che gli piace fare”. Anche perché in questo settore (come in tutti gli altri), “come sempre la differenza la fanno le persone. I giornalisti vengono considerati una manica di farabutti, però quando serve ci si rivolge a loro: io ricevo quintali di mail, di segnalazioni importanti ogni giorno da persone e istituzioni che credono che approfondire alcuni aspetti sia cruciale per la società o per il loro settore o per la loro storia personale”. Quindi, “non perdiamoci nella solita discussione, giornalisti sì, giornalisti no. Ognuno deve cercare di far bene la cosa che fa. Se è così tutto andrà perfettamente. Se un giovane è determinato, sicuramente riuscirà. Chiunque non si sia arreso, se l’idea era buona, ce l’ha sempre fatta. Bisogna prendere l’iniziativa: quelli che si danno da fare, qualcosa ottengono. Se il talento c’è, non bisogna demordere”.
Ma quando si cerca lavoro, a chi si chiede udienza? A chi ci si presenta con un’idea, con un progetto? Da chi andate in un giornale di carta o online o un in programma televisivo? “Innanzi tutto, non ci si presenta davanti all’interlocutore senza avere un’idea chiarissima. Se è un giornale di carta si va dal caporedattore o dal caposervizio, cioè da chi cura la pagina sulla quale vorreste pubblicare il vostro pezzo. È inutile andare dal direttore del giornale, a meno che non abbiate da proporgli un’intervista col marziano. Nel caso di un programma televisivo invece si va dal produttore. Chi è il produttore? Come si individua? Bisogna guardare i titoli di testa e di coda per identificare l’autore, cioè chi decide i contenuti del programma, e quindi è la persona a cui rivolgersi”. Insomma, “bisogna arrivare all’autore o al caporedattore, cioè ai soggetti che decidono, con un’idea concreta e realizzabile. Questi sono i primi passi da fare, perché i curricula vengono letti poco, meglio è se avete già realizzato qualcosa da mostrare”.
E, in generale, “bisogna mettersi nell’ottica di lavorare come servitori della libera informazione, essere indipendenti, soprattutto essere indipendenti nella testa. Non è un percorso banale questo. È complicato regolamentare la libertà di espressione ai tempi di Internet. Però neanche si può pensare che tutti siano dei creduloni, che nessuno sia interessato ad avere un po’ di verità. Il giornalista deve spiegare in modo che chiunque possa avere un’informazione completa”. Certo “quando arriviamo al punto in cui i paradossi si mangiano tutto il resto, vuol dire che qualche colpa l’abbiamo anche noi giornalisti. Invece, bisogna fare il proprio mestiere entro i limiti consentiti, senza cercare di diventare eroi, così non credo si arrivi a quel punto”.
E i freelance, quel 65 per cento della categoria che contribuisce a produrre l’informazione, ma non ha garanzie professionali? “Essere giornalisti freelance in tutto il mondo ha una dignità totale, in Italia vuol dire essere sfigati”.
Per concludere: “l’originalità è assolutamente cruciale, ma l’originalità deve andare su fatti evidenti. La realtà esige un’enorme concretezza”.
Franca Silvestri
(16 febbraio 2017)