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Per Sallusti, oggi tutti sono giornalisti (anche senza essere iscritti all’Ordine)

Un vero faccia a faccia con il direttore del Giornale, senza dubbio uomo di grande esperienza, è sempre interessante. Alessandro Sallusti, da Como, cominciò l’attività giornalistica con un periodico diocesano del suo territorio per passare ad altre prestigiose testate: Il Messaggero, Avvenire, il Corriere della Sera e ancora, Il Gazzettino di Venezia, La Provincia di Como e Libero. Nel 2009 è stato condirettore del Giornale, accanto a Vittorio Feltri, e dal 2010 unico responsabile. Ma non solo carta stampata: Sallusti, infatti, partecipa come opinionista a numerosi programmi televisivi. Dunque, tanti meriti professionali gli vanno riconosciuti. Nel 2011 ha vinto il Premio “Penisola Sorrentina Arturo Esposito” per il giornalismo.

Con Sallusti abbiamo parlato dello stato attuale del sistema mediatico e del nostro Ordine professionale. Davvero lucida (sotto tutti i punti di vista) la sua analisi. Lo ringraziamo per la disponibilità.


La sua posizione nei confronti dell’Ordine dei giornalisti è nota. Ma è vero che tra le tante riforme anelate, lei auspica che ce ne sia una anche per questo organo professionale?

«Sì perché oggi il 90 per cento dell’informazione che gira sul web è auto prodotta dai cittadini. In Internet ci sono articoli, chat, mail, sui social tweet e retweet (messaggi di non più di 140 caratteri che riproducono il testo di un altro messaggio con il nome dell’autore e l’aggiunta di un breve commento) e anche inviti dalle televisioni (mandateci i vostri video!). Su questo binario si trasmette un’informazione che viaggia senza controllo, senza nessuna regola che tuteli i cittadini. A fronte di tanta libertà, chi è iscritto all’Ordine e opera per professione, deve invece sottostare a regole, norme e direttive. Io questo lo trovo arcaico, desueto e obsoleto. Allora, o l’Ordine si fa promotore di una rivoluzione in sé stesso e quindi può continuare a sopravvivere in altre forme o altri modi, altrimenti diventa marginale. Anzi, è già “marginale”. L’unico potere che effettivamente l’Ordine ha è quello delle Commissioni disciplinari. Una settimana sì e una no, l’Ordine mi riprende perché uso la parola “zingaro” invece che “rom”, quando questa parola è abituale in tutto il mondo con lo stesso significato. Io sono l’unico giornalista ad oggi condannato con sentenza passata in giudicato, messo agli arresti domiciliari e ancora con una “sospensione“ di due mesi inflittami dall’Ordine della Lombardia (per omesso controllo), sospensione annullata poi “a maggioranza” dall’Ordine nazionale”. Allora scelsi di andare in prigione per non approfittare dei vantaggi offerti alla “casta”. Una sfida nei confronti dei magistrati che avrebbero dovuto comprendere che un giornalista “non può essere sbattuto in carcere o ai domiciliari per un reato che non ha commesso.” Invece sì: “per il clamore della notizia e l’entità della pena!”. Ormai l’Ordine dei giornalisti è diventato uno strumento: il suo unico “business” è limitato alle Scuole di giornalismo per “formare dei disoccupati”. Devo capire perché un giornalista deve essere laureato e in che cosa. Se sa fare il proprio mestiere, che sia laureato o meno cosa conta? A cosa serve una laurea in legge o in economia quando poi un giornalista si occupa di sport o di cronaca? Quale relazione esiste tra il ciclo di studi e l’esperienza? Oggi giovani “laureati” con più di un titolo accademico e quattro lingue parlate non riescono a fare il lavoro giornalistico, come lo fa chi ha cominciato come “ragazzo di bottega”. E poi, i “titolati” appena mettono piede nella redazione di un giornale – tutelati come sono – devo essere assunti subito in regola, se no sono guai per l’editore e il direttore. E con gli oneri economici che ne conseguono: costano come due stagisti, che ovviamente lavorano il doppio».


Per i giornalisti di qualunque organo informativo etica e deontologia possono/devono convivere?

«L’etica non esiste … e la deontologia … mah! Se diciamo che esiste un giornalismo etico, dobbiamo anche stabilire cos’è l’etica con un parametro oggettivo: questo è etico e questo no. Già faccio fatica a rispettare i precetti religiosi e civili, se dovessi sottostare a tutto ciò che si dice etico e poi non lo è. È etico mostrare la foto di Aylan (il bambino morto sulla spiaggia) ma non è etico mostrare la testa dei prigionieri dell’Isis decapitati. Chi stabilisce cos’è etico? Un giornalista svolge la professione secondo il proprio modo di vedere e sceglie qualsiasi tipo di etica a seconda della propria educazione, moralità, cultura e ne risponde. Poi è anche il pubblico che giudica l’etica dei giornalisti, seguendoli o meno. Se deve essere una regola, la parola etica fa paura. La deontologia invece è un’altra cosa: qualsiasi mestiere ha le sue norme deontologiche. Però i corsi di formazione organizzati dall’Ordine per “insegnare” la deontologia, mi lasciano interdetto.

Gianfranco Leonardi

(22 settembre 2015)