Singolare report narrativo di Silvia Resta sulle conversazioni con il “giornalista partigiano” Massimo Rendina
Un resoconto puntuale dei colloqui fra l’autrice e l’illustre collega: combattente durante la Resistenza, difensore tenace della libertà di informazione. Questo propone il volume Il giornalista partigiano. Conversazioni sul giornalismo con Massimo Rendina di Silvia Resta, edito da All Around per la collana Giornalisti nella storia.
160 pagine per tracciare “l’incontro con la storia, di un uomo e del nostro Paese”. Per narrare le vicende personali, sociali, professionali di Massimo Rendina: partigiano e giornalista, nato a Venezia nel 1920, scomparso a Roma nel 2015, ogni giorno impegnato a lottare per la libertà. Ma anche per fare “un’analisi senza sconti sullo stato del giornalismo italiano e sul sogno – naufragato in parte – di chi ha combattuto nella Resistenza per una stampa libera e indipendente. Dalla mancanza di un editore puro al controllo della politica, dalle pressioni dei gruppi di potere al conflitto di interessi: perché in Italia l’informazione soffre di un deficit di libertà”.
Il rigoroso e partecipato “report” di Silvia Resta consegna ai lettori una sorta di “testamento sul mestiere di giornalista e sul suo ruolo di servizio pubblico, lasciato da uno degli eroi della Resistenza che fu primo direttore del telegiornale della Rai e ne fu cacciato per disubbidienza alla politica”. Sottolinea Rendina: “Sono stato direttore del telegiornale un paio d’anni. Poi fui cacciato. Su due piedi mi fu comunicato che avrei dovuto lasciare perché ero comunista. Io fui cacciato proprio perché mi ribellai a questo potere… Ma certe cose non si possono chiedere a un giornalista partigiano”.
Ricorda l’autrice: “Per me, curiosa cronista ribelle, era come entrare in una miniera di gemme preziose: la sua storia, la sua visione del mondo, il suo senso di libertà, le sue esperienze nel giornalismo, la sua modernità”. In una ventina di incontri “abbiamo attraversato quasi un secolo di storia: dal fascismo alla guerra partigiana alla sua esperienza in Rai (lui, primo direttore del telegiornale, da cui fu cacciato con l’accusa di essere comunista), dalla tivvù bianco e nero al colore, dalla Democrazia cristiana a tangentopoli al ventennio del berlusconismo, con un filo che cuciva, che attraversava tutto: la funzione del giornalismo, ingrediente della democrazia, mestiere bellissimo che – diceva Rendina – si può fare solo nel pubblico interesse dei cittadini”.
Nelle conversazioni con Silvia Resta, Max il giornalista (così chiamato negli anni della Resistenza in quanto partigiano col tesserino da giornalista in tasca) “racconta molto più di se stesso: dalle sue parole, così personali, l’orizzonte si allarga per arrivare a narrare un Paese intero e la sua mentalità, i passi falsi della sua classe dirigente, la strada percorsa dai mezzi di informazione e dai suoi protagonisti, alcuni a volte legati ai giochi opachi del potere”. Ci sono fatti, nomi, di ieri e di oggi. “E in un lampo, pagina dopo pagina, ecco che si arriva ai nostri tempi, così complessi e nebulosi. Tempi in cui la politica si è indebolita e con essa anche il giornalismo, divenuto meno credibile agli occhi dell’opinione pubblica”.
(10 maggio 2022)