I mille giorni di Aemilia di Tiziano Soresina. Dialogo tra l’autore e Dora Carapellese
Maxi processo Aemilia contro la ‘ndragheta. Violenze, omicidi, droga, incendi dolosi nel documentato libro-inchiesta del giornalista reggiano Tiziano Soresina I mille giorni di Aemilia. Il più grande processo al Nord contro la ‘ndrangheta, pubblicato da Aliberti Editore con prefazione di Giovanni Tizian.
Un dialogo-intervista della collega Dora Carapellese con Tiziano Soresina introduce tra i contenuti “scottanti” e di interesse del volume, presentato a Bologna il 24 ottobre scorso.
Sfogliando le oltre seicento pagine del libro esce un quadro preciso di violenze, omicidi, droga, roghi dolosi, riti d’affiliazione, affari illeciti milionari, maxi frodi fiscali, riciclaggio, il mondo del lavoro calpestato, pezzi di società che “dialogano” con la criminalità organizzata. Finalmente sotto i riflettori una “zona grigia” rivelatasi per nulla impermeabile. Stiamo parlando del più grande processo contro la ‘ndrangheta mai tenutosi al Nord Italia. Tiziano Soresina, giornalista che da oltre vent’anni segue le vicende di mafia, ha racchiuso in un libro i mille giorni di AEMILIA, ha documentato quanto è avvenuto nelle 195 udienze del maxi processo tenutosi, in primo grado, a Reggio Emilia.
Questa pubblicazione però non è solo il diario del più grande processo contro la ‘ndrangheta mai celebrato al Nord Italia. Infatti, grazie al poderoso lavoro degli inquirenti, alle rivelazioni dei pentiti, al coraggio dimostrato da alcuni testimoni, narra come si siano evoluti trent’anni d’infiltrazione mafiosa nelle terre del Po.
Un’opera che Soresina definisce inevitabile.
Dove nasce l’idea di questo libro?
«Occupandomi da tanti anni di criminalità organizzata per la Gazzetta di Reggio e specificatamente di ‘ndrangheta, avevo in testa da tempo di scrivere un libro che fornisse un quadro finalmente esaustivo di cosa era accaduto sotto traccia nel Nord a causa dell’infiltrazione mafiosa divenuta pian piano radicamento. E, ironia del destino, ho ricevuto dall’editore Francesco Aliberti proprio una proposta di questo genere durante il maxi processo Aemilia quando era ancora nelle fasi iniziali nell’aula-bunker. Una telefonata con successivo incontro giunti, oltretutto, in un momento delicato del procedimento, cioè quando 19 detenuti chiesero di proseguire ma con un dibattimento a porte chiuse, lasciando fuori dalle udienze il racconto dei giornalisti e il pubblico per lo più composto da studenti. Per la prima volta sentii veramente in pericolo due cardini della nostra democrazia: la libertà d’informazione e il diritto di sapere. Ero arrabbiato per quanto stava accadendo e l’idea del libro mi sembrò la migliore risposta a questo attacco non solo ai resoconti giudiziari dei cronisti, ma anche alla possibilità per le nuove generazioni di capire in udienza quanto fosse in pericolo il nostro tessuto sociale, la nostra economia aggredita dalla malapianta. Per fortuna la Corte ha poi respinto l’istanza dei detenuti, così “salvando” pure i contenuti del libro».
Qual è la cosa che ti ha colpito di più e che non avresti mai immaginato in questo processo?
«Sinceramente più di una volta mi sono sentito il fiato mancare per l’enormità delle vicende che emergevano nel maxi processo di udienza in udienza. Non avevo mai visto testimoni così terrorizzati, mi hanno sconcertato i racconti sugli omicidi, alcuni per di più ancora oscuri, messi in evidenza come “trofei” dai pentiti che hanno svelato i loro lunghi trascorsi da ‘ndranghetisti. Ma soprattutto dalle testimonianze non mi aspettavo che politica, colletti bianchi e imprese avessero avuto un coinvolgimento così forte: tante cose ancora non tornano, mi auguro ulteriori indagini».
Come è la tua vita dopo questo libro?
Vivo la pubblicazione del libro come il coronamento di tanti anni di giornalismo sul delicato tema del radicamento mafioso nelle terre del Po, peraltro colpevolmente sottovalutato per molto tempo. E interpreto le presentazioni del volume che mi stanno portando in giro per l’Italia, come l’espressione più concreta del mio impegno civile. Noto infatti negli incontri il desiderio di saperne di più, la messa a fuoco finalmente da parte della cittadinanza di questo cancro che sta mangiando il cuore del Nord».
Altre info nel sito di Aser.
Dora Carapellese
(26 ottobre 2019)